Fish&Chips Film Festival 2018: Discreet, l’America come incubatore di malessere

Fish&Chips Film Festival 2018: Discreet, l’America come incubatore di malessere

January 20, 2018 0 By Simone Tarditi

Travis Mathews non ha bisogno di presentazioni, ma allo stesso tempo è giusto farle. Presidente di giuria nella sezione Queer al 70mo festival di Cannes e con studi di Psicologia alle spalle, il regista americano ha realizzato una serie di film, tra cui molti cortometraggi, sempre volti a indagare quel limite solo all’apparenza invalicabile tra realtà e finzione.

Tra questi anche Interior. Leather. Bar. (co-diretto da James Franco), opera ibrida tra cinema, documentario, pornografia, che parte dall’idea di ricostruire i 40 oscenissimi minuti (per questo tagliati in fase di montaggio e probabilmente distrutti) del Cruising (1980) di William Friedkin. BDSM, sudore, cuoio, catene, fisting, pissing all’interno dei gay bar nel cosiddetto “distretto della carne” newyorkese dell’epoca. Roba tosta che i produttori furono costretti a eliminare per non venir denunciati dagli organi censori. Interior. Leather. Bar. è un interessantissimo saggio sulla confusione che un attore può esperire quando si dona totalmente al personaggio che deve interpretare, accettando il rischio di smarrirsi completamente in esso.

Confusione e smarrimento che sono fattori dominanti anche di Discreet, nuovo film di Mathews, visionato durante la terza edizione del Fish&Chips Film Festival di Torino, piccola realtà che si sta facendo sempre più notare sul panorama nazionale ed europeo. Sullo sfondo di una provincia americana ignorante e senza aspettative, Alex (Jonny Mars) percorre autostrade desolate filmando paesaggi, incontrando clienti in squallidi motel. Il suo non è un viaggio senza una meta, è composto da tappe. Deve prima uccidere l’uomo che lo aveva abusato da ragazzino e poi raggiungere la sua ex fidanzata, che però non vuole vederlo.

Presentato in anteprima mondiale alla 67ma edizione della Berlinale, Discreet rivolge uno sguardo impietoso agli Stati Uniti che, fuori dai grossi agglomerati metropolitani, non sono altro che una terra di nessuno, un paese strozzato da contraddizioni soffocanti. Cabine del sesso, webcam shows, colazioni a base di bacon fritto e ciambelle iper-zuccherate, bifolchi mai usciti fuori dal Texas, cartelli Trump-Pence nei giardini delle case, collezioni di barattoli di piscio, armi da fuoco, mazze da baseball, minacce e sottomissioni, bestiali pulsioni sessuali. Insomma, il regista ritrae un’America che altro non è che un incubatore di malessere, un luogo da cui fuggire.

Lo stesso protagonista sembra aver inoculato a piccole dosi il degrado di cui è circondato. Sessualmente confuso, moralmente smarrito, umanamente sconfitto. Tra desiderio di vendetta immune da violenza e sindrome di Stoccolma, Alex sa che per fare chiarezza nel caos della sua esistenza deve procedere smantellando tutto quello che gli sta intorno. Una demolizione reale (la distruzione del ripostiglio dove aveva subito gli abusi, l’uccisione dello stupratore) e personale, intima (azzerare chi è stato fino a quel momento senza tuttavia nutrire grosse speranze per il futuro).

Fish and Chips Festival recensione Discreet

Tutto il comparto sonoro di Discreet spesso sovrasta le immagini. Respiri profondi, ansimi, fascette di plastica, olio bollente, traffico delle highways, voci pre-registrate. Rumori non piacevoli, ma in grado di catalizzare l’attenzione ben più di una semplice successione di frame. Il cinema dovrebbe anche essere questo, con la speranza che il film di Travis Mathews riesca a ritagliarsi uno spazio anche al di fuori del circuito “a luci rosse” perché intrappolarlo solo all’interno di quel genere sarebbe un errore madornale. Sostanzialmente, Discreet non ha nulla da invidiare ad altri revenge-movie più blasonati.

Simone Tarditi