Le morali e i limiti del Made in Italy di Luciano Ligabue

Le morali e i limiti del Made in Italy di Luciano Ligabue

January 25, 2018 0 By Gabriele Barducci

made in italy posterNe avevamo già parlato non molto tempo fa di come Radiofreccia sia, ancora oggi, considerato quasi un cult movie. L’esordio al cinema del Liga nel lontano 1998 era genuino, vero, sentito da profondo del cuore e si permetteva anche qualche guizzo sia registico sia narrativo veramente notevole.
Rimandandovi altrove per quelle parole, bisogna sottolineare il rammarico per la resa finale di questo Made in Italy, forte proprio di ciò che Ligabue ha lasciato al cinema sia con Radiofreccia che con Da zero a dieci (meno riuscito, ma comunque apprezzabilissimo).
Made in Italy è un racconto lungo circa un anno, scandito con distrazione e confusione, di un operaio di ceto medio-basso. Un Made in Italy di quelli che fanno fatica ad arrivare a fine mese e si inventano quel che possono per tirare avanti. A questo aggiungete i classici problemi a casa di amore e fedeltà con la moglie, ma amici sinceri (forse) accanto e bonari. Ciò su cui Ligabue costruisce la materia narrativa sono le morali populiste che attanagliano l’italiano medio, l’uomo politico e civile: il lavoro che manca, i politici che rubano soldi, la pessima situazione del nostro Bel Paese e la necessità, forse, di andare altrove per risolvere non tutti, ma qualche problema per sentirsi meno oppressi dalla vita.

Tutto qui, Made in Italy non riesce a mostrare nulla di più oltre questa scorza di facili pretesti per raccontare quanto di più umile, ma pur sempre banale della vita di un italiano medio. A rendere fumosa la realizzazione finale è anche una narrazione fatta per situazioni, per stacchi dove si inserisce prepotentemente un richiamo o una canzone di Ligabue, creando qualcosa di cinematograficamente blanda e troppo fine a se stesso, dimenticandosi il diritto alienabile dello spettatore pagante che si reca al cinema.
Invece dello spaccato emotivo di una persona, si assiste a una celebrazione egocentrica e commerciale di Ligabue, trovando una cifra stilistica vicino a quanto già proposto dal cinema di Sergio Castellitto o Gabriele Muccino, un cinema passionale ed estremo, di persone che urlano per strada, si strattonano, danzano o si ritrovano in determinate situazioni solo per veicolare momenti di intimità o confessioni taciute.

Peccato, perché ad una carriera musicale che come sempre attira fan e detrattori, Ligabue aveva mostrato una genuinità unica nel raccontare storie che qui sembra aver perso, forse volutamente, del tutto.

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Gabriele Barducci
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