
A ciascuno il suo: l’antropologia politico-mafiosa tra Sciascia e Petri
January 30, 2018Scriveva Italo Calvino, a proposito del romanzo A ciascuno il suo di Leonardo Sciascia: “ho letto il tuo giallo che non è un giallo, con la passione con cui si leggono i gialli, e in più il divertimento di vedere come il giallo viene smontato…”. Come accade altrove in Sciascia, anche in questo caso infatti l’intreccio è trascurato e trascurabile, avvolto da una tale levità da risultare evanescente.
La corporeità che manca alla storia, sostanzialmente un duplice omicidio in un paesino della Sicilia, viene restituita al contesto socio-politico nel quale si svolgono gli eventi: il silenzio che grava attorno all’indagine, contrapposto al chiacchiericcio assordante della gente che circuisce l’accaduto senza centrarlo, come se ognuno sia a conoscenza del colpevole e del suo movente ma preferisca non guardare; additare qualcuno che funga da martire; persuadere gli scettici sulla versione più convincente dei fatti; la supervisione della Chiesa nel crocevia di notizie all’interno dei confessionali (e non); la presenza di una politica che si direbbe altrimenti corrotta, se la corruzione non fosse insita nella trama stessa del paesino che mantiene nella propria roccaforte logiche antichissime e attuali. In altre parole, l’omertà di una grande associazione mafiosa che non fa proprie le armi della mafia, tranne in alcuni accenni, quanto essenzialmente l’architettura mentale, un atteggiamento alla vita e alle relazioni sociali.
In uno scambio epistolare tra Sciascia ed Elio Petri, il regista dell’omonimo film, si parlava delle differenze che la pellicola avrebbe avuto rispetto al libro. Oltre ad attribuire al giallo una più viva sostanza, potendo godere maggiormente degli intrighi dell’indagine e, soprattutto, del dubbio circa la reale natura dell’accaduto, la sceneggiatura di Petri (ancora nel sodalizio con Ugo Pirro) possiede alcuni elementi, ancora embrionali e sotto le righe, che caratterizzano il suo cinema e maturano nelle opere successive.
L’elemento politico, sotto le note dell’incalzante, inconsolabile pessimismo di Louis Bacalov, non viene elaborato nella sua struttura partitica/di casta, non ha quell’intento didascalico che Sciascia avvertiva come propulsore della scrittura, piuttosto si riconduce alla natura aristotelica del termine, all’esito (qui miserando) di una necessità di organizzazione sociale, di regole, di fuga dalla barbarie. Le allusioni, gli zoom violenti, i silenzi nella profondità di campo, la sessualità come proibizione che pulsa per sfociare alla coscienza, sono potentissime allegorie di un modo di stare al mondo che, lavorando per sottrazione sull’immagine, costringono alla riflessione, talvolta faticosa, talvolta intuitiva, sul medesimo sguardo politico che si legge tra le righe di Sciascia (il titolo inglese del film, We still kill the old way, sintetizza questo universo con incredibile efficacia, al pari del successivo Lulu the tool, il nostro La classe operaia va in Paradiso).
L’elemento propagandistico, di quell’anarchia di cui Petri era fervido sostenitore, è ancora lontano e attende le opere più dichiaratamente “petriane” (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia va in Paradiso, La proprietà non è più un furto), in cui la ricchezza dei dialoghi e le azioni narrate esplicitano il fervore politico, e la recitazione, affidata soprattutto alla irrinunciabile, irripetibile sapienza di Gian Maria Volonté, è talmente caricaturale ed esasperata da suscitare una grottesca, controversa ilarità.
In A ciascuno il suo Volonté, alter ego petriano per eccellenza, non solo è ancora contenuto nei ranghi di una recitazione minimalista, nell’armonia di un’opera più intima, fanciullesca e per questo paradigmatica, ma rappresenta il reale elemento di differenza con il romanzo. Il professor Laurana, protagonista dell’opera, questo detective improvvisato che vive con la madre fuori dal paese, di cui non conosce perciò le logiche e vive in un passato di gloriosa politica comunista ormai scomparsa, alienato in un mondo cartaceo e leggiadro, si scontra con le dinamiche socio politiche, dalla democrazia cristiana imbrigliata alla Chiesa fino alla complicità omertosa della gente.
Unico a cercare davvero la soluzione del delitto, perseguendo ideali di cui è il solo possessore, dopo una serie di vicoli ciechi, moventi politici illusori e la delusione del movente passionale, scompare improvvisamente, fagocitato dal magma pensante del paese, che per preservare le apparenze e il buon nome delle famiglie, elimina l’elemento di disturbo (un riferimento atipico, eppure questa atmosfera di rivalità per l’estraneo, per colui che fugge le regole del cervello sociale, è ben espresso in Tommyknockers di Stephen King, che negli anni è risultata una delle letture più illuminanti a proposito).
Allora Petri, consapevole che il cinema si nutre di leggi proprie, conferisce al suo Laurana/Volonté accezioni che potevano solo essere intuite nella lettura del romanzo, di cui forse questo passo può essere rivelatore: “E poi era venuta, ad alimentare e complicare la sua eccitazione, la rivelazione del delitto: della passione, del tradimento, della fredda malvagità con cui era stato disegnato; il male, insomma, nel suo incarnarsi, nel suo farsi oscuramente e splendidamente sesso”. Il Laurana di Petri, che non si discosta troppo dal poliziotto di Indagine, è sostanzialmente castrato, subordinato ad un rapporto morboso con la madre (al pari di Sam Rockwell in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, una delle parentesi più interessanti dell’opera), è afflitto da una sessualità immatura che emerge a sprazzi di tanto in tanto ed è uno degli elementi di ossessione e motivazione del personaggio, e brilla nei primi piani con pacatissima sofferenza, conferendogli una nuova tridimensionalità che rende la pellicola una entità indipendente dal romanzo.
Dopo la visione del film, scriveva Sciascia a Petri, e nel loro rapporto epistolare, pur con differenti punti di vista, emergeva il rispetto per la reciproca attività intellettuale: “La mia previsione che avresti fatto un ottimo film, ma diverso dal libro, si è avverata. E mi piace riconfermare, in tutta sincerità, che non c’è stato tra noi alcun malinteso, né io ho avuto delusione o amarezza dal fatto di scoprire, nella sceneggiatura e ora nel film, che tu hai fatto un’altra cosa”.
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