
Seeyousound 2018 – Sezione 7Inch: To be Free, Ringo, Loud Places, The Burden
February 5, 2018Alla quarta edizione del Seeyousound non sono solo passati ottimi lungometraggi (Song of Granite, Barbara, Souvenir) e interessanti documentari (Sex & Broadcasting, Radio Kobani, The Potential of Noise, Betty), ma anche dei notevoli cortometraggi nella sezione 7Inch, tra questi vale la pena soffermarsi su quattro titoli: Ringo, To Be Free, Loud Places, The Burden.
TO BE FREE (Adepero Oduye, 2016, USA)
Dopo l’aspramente criticato biopic con Zoe Saldana (Nina) e il bel documentario What Happened, Miss Simone? arriva quella sorpresa inaspettata che è To Be Free, cortometraggio su Nina Simone. Una decina di minuti all’interno di un locale, una cover della celebre canzone My Way, quasi tutto girato in bianco e nero mentre la cantante è sul palco, dietro di lei, al suo fianco. Un bagno di luci bianche da cui emerge una statuaria figura nera. Un omaggio, una prova di devozione verso l’artista. Lo smarrimento e la mestizia del dietro le quinte, in totale solitudine. Un lavoro notevole sotto tutti i punti di vista il To Be Free scritto, diretto e interpretato da Adepero Oduye (La Grande Scommessa, 12 Anni Schiavo). Infine, una nota assolutamente non a margine: la fotografia è di Bradford Young (I Called Him Morgan, Solo: A Star Wars Story), candidato al premio Oscar per Arrival.
LOUD PLACES (Mathy Tremewan & Fran Broadhurst, 2016, UK)
Il tempo passa non solo per le persone, anche per i luoghi. La città si rinnova sempre, cambia forma, vecchi edifici vengono abbattuti, nuovi vengono eretti. E quel che non viene raso al suolo spesso viene completamente trasformato al suo interno. Il breve documentario Loud Places mostra come tre storiche sale da concerto a Parigi, Berlino e Londra oggi non esistano più, soppiantate da una palestra, un ristorante d’alta classe, un teatro. I ricordi dei frequentatori e dei musicisti son però rimasti. La nostalgia fa da padrona in un viaggio dove le coordinate geografiche s’intersecano, i posti si annullano e prima o poi anche la memoria scomparirà. Elegiaco, monumentale, malinconico, Loud Places è il tentativo di salvare dall’oblio almeno qualche brandello della Storia.
RINGO (Adrià Pagès Molina, 2016, Spagna)
Il batterista dei Beatles muore improvvisamente (corna e scongiuri del caso) e il suo spirito s’impossessa del corpo di Maria che improvvisamente inizia a raccontare di orge, droghe, panni lavati dalle groupies, tour selvaggi, a usare i ferri per fare a maglia come se fossero bacchette per la batteria e soprattutto a sentirsi spaesata e fuori luogo nella periferia spagnola dove ha sempre vissuto. La figlia e i parenti la prendono per pazza quando dice di essere Ringo Starr, ma la nipote capisce che è veramente così e farà di tutto per farla “tornare” a Liverpool.
Un cortometraggio esilarante, ben più che un semplice elaborato di fine corso universitario. Seppur girato in grande economia, Ringo è la prova di come una buona sceneggiatura sia, come sosteneva Alfred Hitchcock, il punto di partenza fondamentale per fare un buon lavoro. Ne potrebbe uscire un bel lungometraggio se qualche produttore fosse disposto a finanziarlo. Da rivedere, da recuperare.
THE BURDEN (Niki Lindroth von Bahr, 2017, Svezia)
Pupazzetti dalle sembianze animali fanno la vita da umani. Topi che spazzano a terra in un fast food, pesci dentro accappatoi in hotel per cuori solitari, scimmie impiegate dentro uffici. Aree commerciali, supermercati, rotonde, piccole automobili, lampioncini, autostrade. Vite organizzate, prodotte in serie, senza uno scopo se non il far girare gl’ingranaggi dell’economia. È l’Apocalisse o solo un giorno come un altro sulla Terra? The Burden, superato il fastidio di vocine che graffiano l’udito come dita sulla lavagna, è un progetto cinematografico ambizioso, fatto di minuzie, coreografie, tecniche a passo uno. Un po’ Anomalisa, un po’ Wes Anderson. A suo modo, indimenticabile. È stato proiettato ai festival di Toronto (dove ha vinto il premio più importante), Varsavia, Sarajevo, Göteborg, Annecy e soprattutto a Cannes. La regista ha lavorato anche come costumista per il videoclip Blackstar di David Bowie. Serve aggiungere altro? Dopo il successo di The Square e il caso documentaristico di I Called Him Morgan, anche un cortometraggio come The Burden ha contribuito a mettere sotto i riflettori internazionali il cinema svedese degli ultimi due anni.
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