
Berlinale68: Cat Days, diventare gatti in Giappone
February 19, 2018Arrivata la 68ma edizione della Berlinale, tutti gli occhi sono stati puntati su Wes Anderson e il suo L’Isola dei Cani, lungometraggio in stop-motion su dei pelosi quattro zampe messi in quarantena dopo un’epidemia d’influenza. Tappeto rosso calcato dalle maggior star internazionali che hanno dato voce ai personaggi del film, distribuzione assicurata in tutto il mondo e successo annunciato (forse ben più di quello che gli stessi realizzatori si aspettavano prima della calorosa accoglienza data dai critici e dal pubblico al festival). Curiosa, ma forse non casuale, la presenza del cortometraggio d’animazione Cat Days (titolo originale: Neko No Hi, regia di Jon Frickey) nella sezione Generation. Curiosa e non casuale perché i punti di contatto con l’ultimo lavoro di Wes Anderson sono molteplici.
A Kyoto, il piccolo Jiro passa un tranquillo pomeriggio a giocare con i suoi soldatini e pupazzetti. È un giorno come tanti quando di colpo inizia a starnutire e a non sentirsi troppo bene. Il padre lo accompagna in una clinica e il responso di una dottoressa è immediato: il bambino ha l’influenza felina (cat flu). Peccato che solo i gatti possano svilupparla perciò ne deriva un’inevitabile constatazione: Jiro è un gatto.
Solo undici i minuti di durata per Cat Days, ma sono più che sufficienti per trascinare lo spettatore in un’irresistibile storia dai tratti surreali. Si accennava ai punti di contatto con L’Isola dei Cani: l’influenza, il rapporto di amicizia tra umani e animali domestici (canidi, felidi), ma soprattutto il Giappone. Se per questo suo nuovo progetto Wes Anderson ha detto di essersi ispirato ad Akira Kurosawa, Jon Frickey attinge a piene mani dalla cultura nipponica, nello specifico per quanto concerne i gatti e l’importanza che a loro è riservata. La stessa storia del cinema giapponese è ricca di film dedicati alla figura del gatto: Black Cat (Kaneto Shindo, 1968), Rent-a-Cat (Naoko Ogigami, 2012) o I Am a Cat (Kon Ichikawa, 1975).
Tra l’altro, Cat Days sembra una versione a rovescio proprio del romanzo Io sono un gatto di Natsume Sōseki perché nel cortometraggio non si tratta di un gatto più umano del suo padrone, ma di un bambino che -forse senza neppure volerlo- incorpora dentro di sé elementi appartenenti al mondo dei felini. Chissà, magari per Jiro si tratta solo dell’evasione mentale da una situazione particolare dal momento che la madre non viene menzionata né mostrata e il suo potrebbe essere un disgregato nucleo familiare in pieno stile Hirokazu Kore’eda (Ritratto di famiglia con tempesta, Father and Son, Little Sister). Oppure Cat Days vuol essere metafora della sterminata fantasia infantile prima che sopraggiungano l’adolescenza e poi la maturità e gli affanni. Per il momento, rimane un breve e delizioso film.
Meow.
Per maggiori informazioni su Cat Days: QUI
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