Il filo nascosto e i segreti di Paul Thomas Anderson

Il filo nascosto e i segreti di Paul Thomas Anderson

February 20, 2018 0 By Gabriele Barducci

il filo nascosto vero cinemaCon Il filo nascosto Paul Thomas Anderson ha confezionato il film psicologicamente più complesso (a dirla tutta, se la batte con The Master) e narrativamente più accessibile e lineare della sua carriera. Reynolds Woodcock (Daniel Day-Lewis) è il sarto più rinomato della Londra di primi anni ’50, una firma prestigiosa la sua, tutte le donne vorrebbero farsi vestire da lui. C’è chi sogna addirittura di farsi seppellire con addosso un abito creato da lui. Un uomo circondato da figure femminili (le dipendenti, la sorella braccio destro, la tipa di turno con cui lui si accompagna, le indossatrici, le clienti), ma innamorato di una sola: sua madre. La tossica relazione con Alma (Vicky Krieps) gli farà riscoprire un lato di sé che credeva di aver perduto per sempre.

Un film, Il filo nascosto, digeribile anche per chi il cinema lo mastica appena, eppure -come si diceva all’inizio- così sfaccettato da poter entusiasmare i seguaci di PTA e far innamorare chi non lo conosce ancora. Difficile parlare di un titolo come Il filo nascosto senza addentrarsi troppo nelle pieghe della trama, senza fare spoiler, senza tentare una spiegazione dello sconvolgente finale. È stato accostato a Rebecca – La prima moglie, il primo lungometraggio che Alfred Hitchcock gira negli Stati Uniti dopo un lungo e mirabile apprendistato in Europa (paradossalmente, Il filo nascosto è il primo film che Paul Thomas Anderson non solo gira fuori dagli Stati Uniti, ma proprio nei dintorni di Londra da dove Hitchcock proveniva), ma è chiara un’influenza più ampia: da Psycho (l’inquadratura-omaggio di Woodcock che guarda dallo spioncino, il rapporto vitale con la madre morta) a Vertigo (l’importanza dell’apparenza attraverso l’uso di abiti, la ricreazione costante di un oggetto d’amore perduto).

Ne Il filo nascosto, Paul Thomas Anderson disegna eleganti pattern che si sovrappongono, intricati liaison che nascondono segreti, che come sempre nella sua filmografia più recente (da Il petroliere in avanti, quattro grandi film in dieci anni) permettono allo spettatore di svelare solo verità parziali. Da un lato la perfezione formale, dall’altro la sensazione che la storia non si esaurisca con i titoli di coda, che le vicende di Woodcock e Alma siano destinate a superare la sfera della finzione cinematografica perché, in casi come questo, di semplice intrattenimento non si può parlare.

Qualcuno ha detto che i film vanno visti sempre due volte per assimilarli meglio. Non è vero. Solo quelli da piangere diamanti e in questa ampia categoria rientrano a pieno diritto e senza ombra di dubbio le pellicole (70mm, baby) dirette da Paul Thomas Anderson.
(Simone Tarditi)

il filo nascosto vero cinema

il filo nascosto vero cinemaReynolds Woodcock è un rinomato stilista dell’Inghilterra del dopo guerra. La perfezione è uno stile di vita e come da prassi, questa può portare a pazzie, nevrosi o routine quotidiane che se leggermente infrante, possono alterare l’equilibrio psichico – e creativo – dello stesso Woodcock.
Annoiato dalle relazioni sentimentali, questo cambierà con l’arrivo di una donna conosciuta per caso, che diviene subito modello d’ispirazione e compagna di vita di Woodcock, che dovrà inevitabilmente venire a patti con le sue debolezze da perfezionista.

Un filo nascosto (appunto, un Phanton Thread) lega l’autore alle sue opere, una firma nascosta all’interno di ogni capo rende irrimediabilmente quel tessuto di stretta proprietà di Woodcock. Il cliente lo veste ma il tessuto è stato idealizzato, guardato, toccato dallo stesso autore. Una nevrosi necessaria per raggiungere l’Olimpo del campo e chi punta a questi livelli è sempre pronto ad affrontare tutte le difficoltà che la strada presenta.
Il filo nascosto è un capolavoro d’altri tempi. Dopo aver assaporato i grandi spazi aperti e i campi lunghi e larghi, Paul Thomas Anderson sottrae e lima ogni elemento per rendere il film semplicemente fruibile per il grande pubblico, ma mai così complesso.
Anderson usa nuovamente e per l’ultima volta un immenso Daniel Day-Lewis, bravissimo a mostrare quel che non è del suo Woodcock. Immerso in una magione di sole donne, controlla e si lascia controllare da esse, sia sul piano terreno che frutto del subconscio. La sua nuova musa e moglie è l’anello di congiunzione tra l’odio e l’amore, la necessità di far regredire lo stesso Woodcock ad un infante per mostrare la sua infinita debolezza che rende al tempo stesso vicino all’assolutezza vitale e creativa.
La sorella cura gli affari come la sua immagine, un legame ideologicamente incestuoso necessario per l’equilibrio di Woodcock a cui si aggiunge il rapporto con la madre defunta a cui un giovane Woodcock aveva cucito il suo primo vestito proprio per lei, nel giorno delle sue nozze, un filo nascosto che tiene questo rapporto di ricordo e devozione sempre acceso.
Nel dramma familiare, costituito dalla semplice indagine tra uomo e donna, Paul Thomas Anderson si muove tra le migliori citazioni a Psycho o Rebecca, firmati Hitchcock, perché Il Filo Nascosto è un’indagine fuori e dentro il nome della leggenda, tra debolezze e punti di estrema forza creativa, mosse sempre da zone buie che P.T. Anderson indaga senza indugio e con una risolutezza sia narrativa che estetica (come fotografa benissimo ogni dettaglio e lo stato di grazie di Day-Lewis non fa altro che arricchire all’inverosimile il prodotto finale) da piangere diamanti.

Paul Thomas Anderson con quest’opera ci ricorda che il cinema ancor prima di scrittura è immagine, che deve essere curata, confezionata e cucita al minimo dettaglio.
(Gabriele Barducci)

Gabriele Barducci
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