The Nest, il testamento di David Cronenberg

The Nest, il testamento di David Cronenberg

February 21, 2018 0 By Angelo Armandi

URNA FUNERARIA E TESTAMENTO

Viggo Mortensen, che con David Cronenberg ha collaborato in A History of Violence, La promessa dell’assassino e A Dangerous Method, in un’intervista del 2016 si dice amareggiato che l’amico regista faccia fatica a trovare dei finanziatori per i suoi film. Buona parte della critica internazionale osanna ogni suo nuovo lavoro, ma il pubblico diserta le sale. Insomma, un incensato artista incapace di far staccare biglietti per i suoi spettacoli. Gli ultimi due titoli sono andati male e il mercato non perdona: Cosmopolis è costato circa 20 milioni di dollari e ne ha incassati 6 scarsi, a Maps To The Stars è andata anche peggio con 15 milioni di budget e uno solo al box office. La distribuzione internazionale è stata tutto tranne che capillare nonostante siano stati presentati entrambi al festival di Cannes.

Sono quattro anni che non esce un film di Cronenberg e forse non ne usciranno più. È lo stesso regista a dire di non voler fare più cinema e di preferire, in questo momento, lo scrivere romanzi. Certo, in molti hanno ritrattato le proprie parole, come Steven Soderbergh che ogni tanto se ne esce fuori con la storia del volersi ritirare e poi torna sempre dietro la macchina da presa. Ma il realizzatore di Logan Lucky ha anche vent’anni di meno rispetto a quello di Videodrome, elemento da non sottovalutare. Infine, non per essere pessimisti a tutti i costi sul suo futuro da filmmaker, l’ultima mazzata sul groppone è stata data dall’inspecificata malattia che nell’estate del 2017 ha causato la morte di sua moglie Carolyn.

Un passo indietro. Nel 2014 l’International Film Festival di Rotterdam commissiona a David Cronenberg la realizzazione di un cortometraggio che funga da inedito per la mostra sulla sua carriera che si sarebbe poi tenuta da giugno a settembre di quell’anno presso il celeberrimo EYE Film Institute ad Amsterdam. Oggetti di scena, costumi, strumenti chirurgici, deformi esseri di gomma e altre mostruosità comparse nei suoi film. Il regista canadese presenta The Nest, nove degeneranti minuti senza tagli di montaggio e girati in point-of-view.

Auspicando di venire smentiti l’istante stesso in cui questo articolo scritto a quattro mani verrà pubblicato sul web, The Nest potrebbe essere il testamento cinematografico di Cronenberg. Nonostante la povertà dei mezzi e il fatto che sia stato girato con una videocamera amatoriale (forse addirittura una go-pro) nel garage di casa sua, il cortometraggio sigilla idealmente una filmografia eterogenea, straordinaria, illuminante.

SIMBOLI E ORRORI

The Nest, il nido, il cuore dell’inquietudine rigurgitato in meno di dieci minuti nell’ultimo lavoro di David Cronenberg. Camera fissa su Evelyne Brochu, sul suo volto incavato, le occhiaie, l’alienazione, i suoi seni che accolgono l’aberrazione: è una paziente che deve subire un intervento di asportazione del seno sinistro ed è in corso la visita preoperatoria in un garage pieno di cianfrusaglie, la scenografia di un mattatoio per lo sventramento della psiche.

La voce pacatissima di David Cronenberg, nei panni del medico, comunica alla paziente la procedura migliore per asportare il seno, che secondo lei accoglie al suo interno, al posto della ghiandola, un nido di vespe. È la forma del delirio raggrumato nella mammella, il dialogo tra malattia mentale e la sua consensuale carnificazione, la palpazione del tessuto psichico in un nugolo di insetti: un caso di apotemnofilia, una psicosi legata al disturbo dell’identità corporea che conduce al desiderio di privarsi di parti del corpo. La paziente è consapevole di avere un disturbo mentale; il medico, di converso, si inserisce nel circuito abnorme di idee e pare acconsentire al desiderio di asportare il nido.

È il ritorno, inaspettato e forse testamentario, del discorso sulla mutazione, qui allegorica (?), avviato agli albori della sua cinematografia e modulatosi negli anni in una struttura più teorica, meno espressiva nell’immagine ma più potente e profetica nei concetti, con Videodrome a fare da acme, da spartiacque tra la deviazione mentale di pochi e la condanna definitiva di un’intera generazione, inserita nello smarrimento di un’epoca.

The Nest Cronenberg

Ancora una volta i medici, i custodi della scienza, sono i possessori della follia, coloro che vivono di corpi, la materia principe in cui si esprime la depravazione: li esaminano, li aprono, ne controllano gli eccessi, ne sono ossessionati. Il Cronenberg/medico (che sia un chirurgo, o uno psichiatra, o un folle che si finge medico, è indifferente) si arma di fonendoscopio e di guanti sterili e si compromette in prima persona, artefice di quella stessa tracotanza che aveva attraversato le prime pellicole, da Il demone sotto la pelle a Scanners, e aveva condotto i personaggi oltre le colonne d’Ercole, e man mano all’autodistruzione. Ora il burattinaio è libero di abusare della labilità psichica della malata: con un pennarello evidenzia l’areola mammaria per segnare dove avverrà l’incisione della cute e con il fonendoscopio ausculta l’illusorio ronzare delle vespe, che hanno intuito l’intenzione di eviscerare il nido.

C’è una separazione tra il folle e la donna ammalata, nella misura in cui quel nido di vespe non è il prodotto del folle, come sarebbe accaduto agli albori della poetica cronenberghiana, ma potrebbe derivare dal cuore marcio del mondo, da qualsiasi fonte che intacchi la purezza del corpo, inconoscibile e pertanto incontrollabile. Egli tuttavia ne viene a contatto, ne è affascinato, e può soddisfare i propri istinti di sadismo e/o onnipotenza, come una Mosca libera dalle sequele fisiche della propria arroganza. È il nuovo trionfo dell’abominio, dopo le invisibili mutazioni puntiformi che hanno contribuito a plasmare il fenotipo dell’uomo occidentale, che non desta ripugnanza, poiché tutta la specie condivide le stesse mutazioni, e nello stare al mondo ci si riconosce come simili e si è inconsapevolmente ripugnanti assieme (Cosmopolis, Maps to the stars).

La scelta del seno è fondamentale, considerando che le anomalie del corpo sono sempre state scelte con grande attenzione (dalle ascelle alle mani). Inserire l’anomalia di un nido di vespe, d’impatto così ributtante, all’interno di un seno, significa colpire con la mutazione una delle sedi della femminilità, ma soprattutto della maternità, della vita a cui attinge invariabilmente il lattante, unico esemplare di innocenza sul pianeta, che in questo modo verrebbe contaminato (ancora l’allegoria distorta del medico, e la stessa paziente è consapevole del rischio: “It’s dangerous to nurse babies”). Le generazioni continuerebbero così ad infettarsi, realizzando il finale paradigmatico de Il demone sotto la pelle.

David Cronenberg

The Nest è la perfetta sintesi dei vari Cronenberg che si sono succeduti negli anni, quello che si potrebbe definire un orrore concettuale, deducibile, mai rappresentato, incasellato in un dialogo di apparente perfetta normalità, che inquieta più che spaventare, coinvolge più che respingere. Si discute della tecnica operatoria, dei sistemi per estrudere il nido dal corpo, di come le radiografie non siano tarate per riconoscere oggetti in movimento quali le vespe ronzanti (l’attrazione per la tecnologia come mezzo per perpetuare l’orrore è stato uno dei marchi della sua poetica, quella necessità di palpare il metallo fino a delineare l’immaginario erotico di Crash).

Per tutto il discorso lo spettatore è obbligato a condividere lo sguardo malsano di Cronenberg, viene contagiato dalla sua follia, come in uno snuff movie è colpevole di ciò che viene narrato, non è esente da alcuna responsabilità. Un’intera poetica pluridecennale condensata in nove minuti, con una soggettiva senza tagli di montaggio, senza effetti speciali, un volto di donna e una voce maschile. Se David Cronenberg non dovesse più tornare dietro la macchina da presa, è stata la degna conclusione di uno dei registi ascrivibili di diritto alla rosa delle menti geniali della sua generazione.

(Articolo curato da Angelo Armandi e Simone Tarditi)

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