Annientamento, così si crea un bel film di fantascienza

Annientamento, così si crea un bel film di fantascienza

March 13, 2018 0 By Gabriele Barducci

annientamento vero cinemaSarebbe da fare una statua al buon Alex Garland. In anni di sceneggiature e al suo secondo film da regista, sembra uno dei pochi ad aver capito come adattare romanzi apertamente difficili in immagini (cosa? Qualcuno ha detto La Torre Nera?) anche ricorrendo ad un immaginifico ermetismo.

La trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer non è di facile comprensione. Più volte il racconto si presenta vacuo, una narrazione totalmente fredda e indiretta (nessun nome, ci si riconosce tramite il mestiere, “la psicologa”, “la biologa”) e immagini deformi, mutazioni strazianti ad altre magnifiche, un disgusto interiore per delle forme non definite che quindi mettono a disagio il lettore.
Alex Garland trascende totalmente i romanzi di VanderMeer – giustamente – prendendo soltanto ciò che gli serve, adattando il suo film, mostrando come dovrebbero essere tutti quei film di fantascienza che coniugano l’intimo con la filosofia.
L’Annientamento di Alex Garland non si tratta solo di un viaggio all’interno dell’aura extraterrestre denominata come Bagliore, ma è un viaggio intimo e personale per ognuna delle componenti, tutte donne, della dodicesima spedizione ufficiale per capire l’origine di questo strano avvenimento. Le altre 11 spedizioni? Mai tornate.
In particolar modo per Lena, la biologa (Natalie Portman) la missione ha un duplice obiettivo: capire la natura del Bagliore e ritrovare suo marito, partito con la spedizione precedente.
Lo spettacolo che si presenterà sarà difficile da decifrare. La mutazione sembra l’unico obiettivo dell’aura, assorbire DNA di piante ed esseri viventi per restituire qualcosa di più, modificato, cumulativo ad altri DNA, un risultato estetico per animali e piante diverso agli occhi delle protagoniste. Ma il mutamento avverrà anche dentro il loro corpo.
Esattamente come l’occhio e la percezione umana disgusta forme non definite, Garland si lascia andare, in particolare nel finale, in un delirio visivo impressionante: colori, forme, suoni disturbanti. A questo l’avventura della spedizione sarà accompagnata da testimonianze video dei componenti della missione precedente, intenti a uccidersi e sventrarsi a vicenda (una scena davvero da far accapponare la pelle).

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Ma a Garland non interessa tanto la narrazione o il cercare di sciogliere ogni nodo narrativo. A lui interessa Lena, la biologa, come s’interessa delle altre sue compagne di viaggio. Tutte hanno un mistero che tengono nascoste, qualcosa che le ha portate all’autodistruggersi. Anche Lena, come loro, ha un segreto, un dolore. Il suo viaggio quindi acquisisce un valore di terapia d’urto, arrendersi all’evidenza che il suo matrimonio è fallito, morto, finito, per causa di entrambi (un marito forse dato per morto e alcune scelte non proprio intelligenti di razionalizzare da parte di lei). Il delirio dell’ultima sequenza del film sembra suggerirsi questo, all’autodistruzione interna ne segue l’annientamento di quello che era Lena, del suo passato, del cancro che l’ha attanagliata per più di un anno. Lo stesso concetto di malattia, cancro e tumore viene più volte ripreso nel film. La malattia espande e duplica le proprie cellule. Annientarle definitivamente per poi rimuovere la massa informe è l’unico modo per “guarire” e rinascere.

Annientamento è un film incredibile, pregno di simboli, visivamente stimolante e criptico.  Ex Machina fu amato e criticato per le stesse soluzioni narrative o estetiche, ma se davvero cercate un film di fantascienza come si deve, Annientamento è il film da vedere.

Gabriele Barducci
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