
L’amant double, il doppio amore di Ozon verso il cinema
April 20, 2018Quanto è smaccato l’atto d’innamoramento del regista francese nei confronti della cinematografia, un uomo talmente risucchiato nelle spirali fagocitanti della più illusoria forma d’espressione artistica da desiderare (e inseguire) un film che rimanda a mille altri. L’amant double è una lettera d’amore spedita senza un destinatario preciso e indirizzata verso il cinema in ogni sua deformazione.
Messo alla berlina a Cannes (troppo scandaloso, troppo derivativo, troppo sfacciato, troppo esagerato, troppo di tutto insomma), il nuovo Ozon esce nelle sale italiane col titolo di Doppio amore, diverso dall’originale eppur non così lontano dal suo significato. In una Parigi di cui viene mostrato ben poco, Chloé (l’attrice Marine Vacht, già musa ozoniana in Giovane e bella) vive sola con un gatto, piange senza ragioni precise, ha un lavoretto part-time come guardiana in un museo, forse è frigida, ha un male al ventre che è di probabile natura psicosomatica e conduce un’esistenza fatta di nulla e torpore fino a quando non conosce Paul (e Louis). Poi tutto cambia.
Doppio amore, liberamente tratto da un romanzo di Joyce Carol Oates nonché di sicuro il miglior adattamento per il grande schermo che sia stato fatto della scrittrice nonostante la dissomiglianza col corrispettivo cartaceo, è un’opera gravida di riferimenti a vecchie pellicole e influenze di altri filmmakers. Spesso l’autocompiacenza di taluni registi è tale per cui nello spettatore subentra inevitabilmente la nausea. Una nausea magari venata di complicità, ma pur sempre nausea. Sorprendentemente, non è questo il caso. Doppio amore coltiva le stranezze di Polanski (L’inquilino del terzo piano), si rifugia nella duplicità maschile del Possession di Zulawski, fa capo al film dei doppi per eccellenza (Vertigo), illustra il corpo come fucina di mostruosità (David Cronenberg), omaggia Brian De Palma senza un attimo di respiro (Sisters e … grosso modo tutta la sua filmografia, dall’uso dello split screen alle ossessioni distruttive).
Si potrebbe andare ancora avanti, ma è già abbastanza chiaro così che Ozon sembra voler avverare una sua stessa fantasia in questo giocare col cinema e andare a collocarsi tra i grandi. In fondo, non è anche questa l’ambizione di chi è artista? Doppio amore va filtrato, proprio come un infuso che passa dentro il colino, attraverso il concetto dello sguardo, del vedere, del penetrare con gli occhi. Chloé sorveglia gente in carne e ossa passeggiare in stanze dove vengono proiettate video-installazioni. È la corporeità che cozza con l’inconcretezza. Una donna che è in primis feto che ne ha assorbito un altro fino a inglobarlo totalmente, poi figlia indesiderata, infine persona che ha bisogno di essere guardata per sentirsi di esistere.
Doppio amore si apre con una visita ginecologica senza censure. Un’immagine che repelle o attrae. Biforca le vie tra chi resterà per il proseguo o chi vi rinuncerà fin da subito. A monte, accoglie nel tunnel narrativo all’interno del quale ci si muoverà. Ozon e il suo cattivo gusto (compreso il cunnilingus con mestruo) tremendamente affascinante.
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