Non toccare la donna bianca, tra western e decostruzione

Non toccare la donna bianca, tra western e decostruzione

June 6, 2018 0 By Simone Tarditi

Nixon campeggia col suo muso stampato su di un manifesto mentre in un’altra scena è il faccione sorridente di JFK a essere disegnato sui calzoni indossati da un pellerossa. Il cross-over cronologico è il motore della narrazione in Non toccare la donna bianca, questo è quanto. Quella che altro non è se non una sciroccata versione fumettizzata della Storia vera non conserva alcuna integrità filologica al di fuori dei nomi dei protagonisti (Custer, Buffalo Bill, …) eppure, quando si finisce in un film di Marco Ferreri, ne si accetta la stravaganza, il divertito gioco consistente nello spiazzare lo spettatore e nel deluderne le aspettative.

La delusione delle aspettative non ha a che fare con la fruizione del film, che è quanto mai d’interesse (piacevolmente di cattivo gusto, via), piuttosto un constatare che ai personaggi capitano cose inaspettate. Al teatrino di pezzi di merda che il regista mette in piedi ci si affeziona anche se si tratta d’individui abbietti che nella realtà si spera di non incontrare per strada e neppure farci un viaggio in ascensore. Non toccare la donna bianca fa del genere western una buffonata e non si può finire con l’apprezzare lo smantellamento (concettuale prima, effettivo poi) di cosa sia / debba essere la messinscena cinematografica soprattutto se riguarda la rievocazione “in costume”.

L’opera di Ferreri è anche rimpatriata goliardica del cast conosciuto l’anno prima ne La grande abbuffata. Con ruoli dissimili e col medesimo egoismo distruttore, tornano Marcello Mastroianni, Philippe Noiret, Ugo Tognazzi e Michel Piccoli, quest’ultimo una spanna sopra a tutti quanti, anche negli ultimi istanti della vita del personaggio, morto cagandosi addosso esattamente come nel precedente film. Della pellicola del 1973 rimane un avanzo in Non toccare la donna bianca allorché il personaggio di Noiret addenta voracemente un’aragosta o, al contrario, quando un Mastroianni troppo nervoso per l’imminente battaglia contro i nativi americani rinuncia a un tramezzino preparatogli dalla bellissima Catherine Deneuve (a del buon sesso però non dice di no).

Viene presa di mira la borghesia peggiore, quella dedita alla sopraffazione e all’esagerazione, così lontana dall’empatia verso i propri simili dall’essersi distaccata dalla vita stessa senza tuttavia mai smettere di ridere a crepapelle. Bello come i due titoli siano il succedaneo l’uno dell’altro senza che vi sia alcun prevalere in termini di “pregio artistico”. Più che di reciproci surrogati, nel caso de La grande abbuffata e Non toccare la donna bianca vale la pena di parlare di film complementari perché, se presi singolarmente sono ugualmente potenti, è solo insieme che diventano qualcosa di più.

Non toccare la donna bianca

Simone Tarditi