
N. W. Refn e la fragilità dei corpi nel film Solo Dio Perdona
June 20, 2018Sono ormai passati cinque anni da quando al Festival di Cannes venne presentato Solo Dio Perdona, film di rottura per il cinema di Refn dopo il successo internazionale ricevuto con Drive nel 2011, sempre a Cannes, che gli fece guadagnare la Palma d’Oro per la miglior regia. Film di rottura perché il modo in cui si va a collocare Solo Dio perdona nella filmografia del regista è diventato uno dei motivi per cui ora Refn sia diventato la “croce e delizia” per buona parte della cinefilia odierna: da un lato c’è chi ha intravisto nel film l’inizio di un lento declino inversamente proporzionale all’accrescimento di un’estetica barocca, ermetica e inutilmente pretenziosa, dall’altro lato qualcuno ha visto la luce di un regista rinato, capace di portare avanti una propria idea di estetica cinematografica.
Ma non vogliamo parlare per l’ennesima volta della delusione di Refn davanti ad un pubblico rimasto scontento perché pensava di trovarsi davanti ad un seguito di Drive, la ripetuta presenza di Gosling di certo (non) ha aiutato. No, non vogliamo parlarne, ci ha già pensato a sufficienza la moglie di Refn, Liv, al quale dedicherà qualche anno dopo un documentario, My life directed by Nicolas Winding Refn, un mediometraggio di poco meno di un’ora che racconta le frustrazioni e le speranze di un uomo/regista davanti e dietro alla macchina da presa durante i sei mesi di riprese a Bangkok dove venne girato il film. Non vogliamo nemmeno dilungarci troppo su come l’ego del regista negli ultimi anni sia cresciuto esponenzialmente, tanto che da The Neon Demon in poi Refn ha deciso di firmare i suoi film, spot, restauri e post di Instagram con il marchio NWR che pare tanto la firma di una qualche rinomata boutique di profumi. Non vogliamo neanche imbarcarci sui (troppi) numerosi interventi del regista a sostegno dei suoi film, come le infinite spiegazioni dei simbolismi di The Neon Demon, mentre invece ci piace ricordare il divertente battibecco con Friedkin che lo prende in giro davanti all’affermazione che Solo Dio perdona è il suo capolavoro totale e incompreso. Serio o meno, è divertente e dà un’idea di come l’esposizione sul web sia la conferma di come Refn si stia creando un suo personaggio.

Gosling e Refn ridono e scherzano durante le riprese di “Solo Dio Perdona”.
La storia è quella di Julian e Billy, due fratelli che gestiscono una palestra di Thai Box come copertura per attività criminali finché una sera Billy decide di violentare e uccidere una ragazza di 14 anni. Davanti al crimine interviene l’anziano poliziotto Chang che lascia al padre della ragazza la possibilità di vendicarsi ferocemente su Billy per poi punirlo e ricordagli i suoi doveri di padre amputandogli una mano. Intanto Jenna, la madre di Julian, arriva dagli Stati Uniti per il funerale di Billy e per vendicarne la morte, dopo che Julian alla scoperta del crimine del suo defunto fratello si è dimostrato restio a giustiziare il padre della ragazza violentata. Ci penserà la madre, ma l’ombra del poliziotto Chang si farà sempre più presente sia nella carne dei protagonisti, sia nella loro mente.
Come nei film precedenti il corpo dei protagonisti qui diventa materia prima per lo sguardo del regista tanto che Solo Dio perdona può essere configurato come un vero e proprio body horror: il corpo come tempio per meditare e costruire la propria umanità, il corpo come indiscusso sovrano del nostro agire ed essere. Leitmotiv della violenza sono le mani di Ryan Gosling: le mani che in Drive erano costantemente dentro un paio di guanti qui vengono messe a nudo e diventano il volante non di un’auto ma del proprio corpo, della propria corporeità che si scontra contro persone e cose nel tempo e nello spazio. L’intera fragilità del proprio organismo qui diventa l’esatto controcampo dell’eroe di Drive, Gosling viene sottomesso ad un lento disfacimento corporeo e mentale. Un volto stanco, sottomesso e martoriato di ferite e violacee contusioni. Se la continua apparizione della soggettiva delle mani, quindi del punto di vista mentale sulla realtà terrena di Julian, avviene in contrasto (o in continuità, o ancor meglio in complicità) con il crimine commesso da un consanguineo, non è un caso che Chang appaia subito dopo l’ultima inquadratura con Julian.
Solo Dio perdona è un film di luci artificiali, di strisce al neon fitte e orizzontali, di luci urbane tipiche di una metropoli fino alle infinite lampadine aggrovigliate attorno alle piante dell’attico della madre Jenna. Una scenografia asettica e antinaturale fotografata magistralmente da Larry Smith che vira l’incubo refniano in un caleidoscopio di venature rosse: dal rosso del sangue fino al rosso nella mente dei protagonisti e poi nell’obbiettivo della macchina da presa. Una simmetria ragionata e pensata al millimetro in ogni inquadratura che porta all’estremo l’estetica di Refn: i luoghi diventano angoli oscuri della mente con reminiscenze kubrickiane.
Refn gira nella maniera meno convenzionale possibile il combattimento perno del film. Non ci rende partecipi dell’azione tanto che paiono due figure di un videogioco, ma l’effetto di straniamento rende il tutto paradossale e vorremmo essere più vicini a Julian. La regia che predilige il punto di vista distante dall’azione, come in quasi tutto il film del resto, dove i momenti d’azione non sono altro che operazioni pensate a distanza da una figura demiurga come la madre, che verrà poi sostituita dallo sguardo demiurgo di Chang, unica figura alla fine che interviene attivamente nel corpo dell’azione. Il montaggio rompe queste distanze per aprirsi alla dimensione onirica in cui fa incontrare i protagonisti, basti pensare alla breve sequenza nel ristorante prima dell’attentato, in cui Chang ha una visione di Jenna, la mandante dei sicari che devono uccidere il poliziotto.
Julian/Gosling una volta venuto a patti col suo corpo fragile e con l’impossibilità di rivaleggiare con Dio potrà ricongiungersi nel ventre della madre solo con la morte di essa da parte di Chang: egli in nome della legge la eliminerà e infine in veste di divinità riuscirà a interrompere il complesso edipico e di inferiorità di Julian nei confronti della madre e del fratello. Alla fine Julian e Mai, la escort che Julian cerca di presentare a Jenna senza successo, possono intravedere una speranza attraverso un ultimo sorriso di Chang, quello di un demiurgo che tiene le redini del gioco, del perdono, e di una benedizione che si apre alle note, più serene, di “You’re my dream” che concludono il film dedicato ad Alejandro Jodorowsky.
Solo Dio perdona a ogni visione apre sempre più porte per numerose interpretazioni, è un film stratificato nel regno immaginario e visivo di Refn che definisce l’inizio di un’estetica esagerata, per molti stucchevole e vuota, per altri incredibilmente corporea e diretta nel trattare i suoi argomenti con anima cinefila e punk: qui la violenza e nel film successivo la bellezza, entrambe prendendo spunto da generi che si sono codificati negli anni 70. Un film rischioso, libero di sbagliare, ma incredibilmente destabilizzante e violento nel trascinare lo spettatore nei labirinti colorati e lisergici della mente di Julian, ma soprattutto in quella di Refn che si trasformerà definitivamente in NWR.
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