
Il Cinema Ritrovato 2018: I compagni di Mario Monicelli e la fame come motore della sovversione
June 27, 2018“Quando una cosa piace non è sacrificio”
Candidato agli Oscar del 1965 per la migliore sceneggiatura, I compagni viene presentato nella sezione dedicata a Marcello Mastroianni all’interno del festival bolognese Il Cinema Ritrovato, quest’anno alla sua 32ma edizione. Produce la Paramount films of Italy Inc. e dietro la cinepresa c’è Mario Monicelli (Un borghese piccolo piccolo), anche co-sceneggiatore assieme al duo Age-Scarpelli. A detta di molti, il migliore cinema italiano è ciò che menti colte come le loro hanno saputo mettere al servizio dell’industria dello spettacolo. Pellicole intelligenti, veicolanti messaggi universali perché le società cambiano, i tempi pure, ma i bisogni della gente rimangono gli stessi: mangiare, riprodursi, lottare.
Torino, alla fine dell’800. Questo è il contesto. Dopo i titoli di testa a mo’ di beffarda cartolina turistica della città sabauda (vengono mostrate Piazza San Carlo, il Lungo Po, Piazza Castello fronte Teatro Regio, anche se più che nel capoluogo piemontese il film è girato in altri parti della regione: Cuneo, Savigliano, Fossano) ecco subentrare la realtà operaia mai così lontana dalla ricchezza e dagli agi.
L’entrata in fabbrica (le Manifatture tessili Buratti-Pavesio, altro che palazzi lussuosi), i soldi che non bastano mai, il rumore dei macchinari, famiglie intere che condividono lo stesso lavoro e il medesimo destino, le veloci pause pranzo e il meritato silenzio, la neve e il fango. E poi tutto ricomincia da capo fino a quando la vita non finisce. E fuori dai recinti del luogo di lavoro si lotta per sopravvivere: ragazze vendono i propri capelli come la Fantine de I Miserabili, i figli adulti portano gli anziani padri a lezione nelle scuole serali, fratelli maggiori spiegano ai più piccoli che devono studiare per prendere a ogni costo quel diploma che permetterà di emergere e andare via di lì, i piemontesi malsopportano i meridionali, …
Quello de I compagni è il cosiddetto “quarto stato” iconizzato da Pelizza da Volpedo grosso modo nel periodo in cui la vicenda del film viene narrata, composto da masse anonime in costante movimento. Esseri umani vivi, sporchi, ignoranti, affaticati, pieni di energia, sfruttati, ignorati, presi in giro. Eppure il futuro è lì, non nei pranzi di gala o nei club dell’élite. Per (inter)rompere il meccanismo di sfruttamento basta una dose di coraggio infusa dal personaggio interpretato da Marcello Mastroianni, un professore liceale in fuga su cui pende un mandato di cattura (“Ho la testa piena d’idee balorde”).
L’Italia mostrata nel film è quella dei morti sul posto di lavoro (lo è ancora oggi, centinaia di anni dopo) e dei mutilati nelle fabbriche, i quali in qualche modo anticipano gli innumerevoli soldati che sarebbero tornati dalla prima guerra mondiale senza arti attaccati al corpo né parti da interpretare in un mondo che non sa che farsene dei “pezzi difettosi”. Ma cosa vuol dire avere davvero fame? Cosa vuol dire sentirsi vivi? La lezione di Monicelli è una: resistere e mai stare fermi. L’ordine va rovesciato. Col sorriso sulle labbra invece che con le lacrime sul volto.
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