
Appunti sparsi per Crazy Horse di Frederick Wiseman
August 17, 2018Il Crazy Horse è un celebre locale parigino dove si paga per vedere spettacoli di cabaret. Un luogo dove compenetrano tra di loro luci al neon, ombre cinesi, statue dorate e statuarie ballerine. Le ragazze indossano ciglia finte, parrucche rosse, stelline sui capezzoli, al microfono registrano mugugni di godimento che poi vengono rimbalzati negli amplificatori insieme a cover di Toxic di Britney Spears, hanno culi marmorei così sporgenti che ci si potrebbe appoggiare sopra un bicchiere di rosé. È l’elaborata illuminazione del palco a delineare la forma dei corpi, la precisione con cui ciò viene fatto è volta a creare suggestione più che a valorizzare la carne per come realmente essa sia. Nei camerini, le Crazy Girls tengono fotografie delle proprie figlie appiccicate sullo specchio che usano per truccarsi e l’iconografia svolge qui un ruolo analogo alla culla in Boxing Gym con dentro il neonato mentre a pochi passi il genitore si allena: si vorrebbe, ma a volte non si può, portare con sé gli affetti dove si lavora o ci si prepara a una performance, di qualsiasi tipo si tratti.
Un pubblico per questo genere di spettacoli c’è ancora? Sì. Gli strip-tease possono far pensare a uno svago dozzinale, ma qui così non è. Al Crazy Horse arrivano tutto l’anno orde discrete e incuriosite di spettatori, perlopiù turisti, che sbocciano champagne e acqua Evian mentre cercano di godersi quel che viene loro proposto. Sono show anacronistici, datati, forse è proprio l’idea di un intrattenimento ammuffito ad attrarre tanti uomini quante donne. In tutto questo, c’è ancora spazio per l’erotismo soprattutto in un’era in cui ormai la pornografia è accessibile dovunque e da chiunque? Evidentemente per alcuni individui sì e sarebbe sbagliato mischiare le due dimensioni.
Il coreografo definisce gli spettacoli come qualcosa di artistico. È così? Nonostante ad alcuni le sole immagini del documentario possano far venire voglia di uscire dal locale a gambe levate, non si può dire che dietro non ci sia un impegno quotidiano e faticoso. L’organizzazione tra il regista, la sarta e costumista, i creatori delle parrucche, i contabili e gli elettricisti ormai assuefatti dalla vista di cotanta bellezza femminile è pressoché identica a quella dei team di lavoro che Frederick Wiseman ci mostra e ci fa conoscere in Ex Libris: New York Public Library oppure in At Berkeley.
Sono organismi istituzionali che funzionano a pieno regime perché c’è un confronto tra i membri che ne fanno parte. Sono le parole pronunciate con foga, la testardaggine che alcuni possono dimostrare pur di convincere il gruppo della validità di un progetto particolare, il dibattito che può nascere quando c’è un conflitto d’idee a permettere la realizzazione di eventi variegati. Chi usufruisce di questo servizio può decidere di rispondere come meglio crede, ma senza un sistema gerarchico nessuna decisione a monte verrebbe presa. Nel caso specifico del Crazy Horse, si pensi a una completa coordinazione di personalità diverse unite come all’interno di un musical.
Con Crazy Horse, Frederick Wiseman torna nella sua amata Parigi dopo avervi realizzato La Danse, documentario sul Balletto dell’Opéra. Nella capitale francese, il regista ha anche montato all’interno di un ex convento del XVII° secolo il suo ultimo lavoro (Monrovia, Indiana), che verrà presentato alla 75ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
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