
La vita secondo BoJack Horseman
August 25, 2018Un secondo titolo per questo articolo potrebbe comporsi così: vedere tutto Bojack Horseman oggi, nel 2018, a meno di un mese dal rilascio della quinta stagione su Netflix. Troppo lungo però.
La mia maratona o meglio, cavalcata, nel recuperare le quattro stagioni di Bojack Horseman è iniziata un po’ per noia, un po’ per pigrizia. Ne abbiamo sentito parlare benissimo ovunque, eppure ancora non c’è stata nessuna occasione di avvicinarsi al cavallo antropomorfo ex star del cinema hollywoodiano degli anni ’90.
Siamo a Hollywood, o meglio, Hollywoo. BoJack trangugia alcol, mangia cibo spazzatura a non finire e consuma vecchie VHS dove ha registrato tutte le puntate del suo show televisivo di fine anni ’90. Lì era una star, era un attore e cavallo stimato nel mondo come nel sistema produttivo hollywoodiano.
Poi il declino, ma non quello che ti porta sul lastrico, senza casa e soldi, ma una decadenza interiore. Al giro della mezza età, BoJack è solo, guarda il mondo con un cinismo tagliente, ha avuto tante donne, tra cui la gatta Princess Carolyn, sua agente, ma non è mai riuscito a mantenere una relazione stabile (faranno male al cuore tutte le puntate flashback dove un giovane e ingenuo BoJack si lascerà andare a tante, troppe promesse verso se stesso e gli altri che non manterrà mai) e come tanti altri attori, cerca il riscatto. Purtroppo questo arriverà attraverso un’autobiografia scritta assieme a Diane Nguyen, scrittrice e ghostwriter che invece di celebrare la star, ne racconta la depressione, gli eccessi e le sconfitte.
BoJack mostrandosi al mondo così vulnerabile ritorna nell’occhio dell’attenzione mediatica, ma il cavallo assuefatto di coca e alcol si rende conto di non essere certo la miglior persona su questa terra.
Quello che si presenta come essere la prima stagione, è un grande antipasto dello show. La soluzione Netflix permette dodici puntate ed è possibile che dopo questo primo assaggio, qualcuno possa mollare la presa. Normale, perché BoJack Horseman è uno show che appena capisce di aver intrapreso la giusta strada, non si ferma più. Quello che porterà fino alla fine della magnifica terza stagione, è una maturazione di scrittura impressionante. Via il pubblico piccolo o ingenuo, BoJack è il classico figliodiputtana, che non solo si perde tra droga e super alcolici, ma rischia di andare a letto con la figlia adolescente di una sua vecchia fiamma, vincere un Oscar – forse – rubando e mentendo spudoratamente sulla sua non-performance attoriale per un film che aveva tenuto nel cassetto per decenni e solo ora riesce a realizzare, e per gli infiniti posti vuoti che lascia accanto a se nel letto, un continuo passaggio di donne, umane e non, nessuna adeguata alle esigenze del cavallo attore che solo troppo tardi arriverà a capire il perché di questo suo atteggiamento così vacuo e privo di interesse verso il mondo.
Per quanto BoJack cerchi di affogare la sua disperazione, tristezza e depressione nell’alcol, il fantasma di una famiglia che non lo ha mai incoraggiato si erge come un muro di maturità difficile da distruggere.
Tra eccessi, momenti intimi in cui BoJack capisce che deve cambiare e altre battutine taglienti, quel che emerge dalla serie è una forte tristezza, che se veicolata in modo alternativo, comincia a diventare una parabola di crescita e di presa di coscienza di tutto ciò che si è.
Eppure nonostante tutti gli sforzi fatti, BoJack non fa altro che distruggere tutto ciò che ha attorno, con poesia, cercando proprio di dare importanza a quei pochi legami che lo rendono fiero di aprire gli occhi tutti i giorni, e saranno gli stessi legami che lo stesso distruggerà nei modi più idioti e irresponsabili.
Si odia BoJack, come lo si ama. Il risultato è come vedere un bambino, un neonato sbagliare: ci divertiamo, è piccolo, non è consapevole di ciò che fa. Ma BoJack no. BoJack ha bisogno d’aiuto e forse ce lo sta chiedendo indirettamente proprio a noi.
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