
Venezia75: First Man – Il primo uomo, la maestosità dell’uomo
August 29, 2018Film d’apertura della 75esima Mostra del Cinema di Venezia, First Man di Damien Chazelle è un’opera maestosa, riuscendo a fondere la folgorante bellezza delle immagini ad una narrazione eminentemente umana, pregna di fallacità, e del tentativo costante di vincere i limiti imposti dalla natura delle cose. A tutti gli effetti, si tratta di un Whiplash in tute spaziali, elevato al quadrato per la innegabile, profonda maturità della narrazione.
La stessa idea di raccontare l’allunaggio dell’Apollo 11, nel luglio del 1969, è una potente allegoria della parabola familiare di Neil Armstrong (Ryan Gosling). Dove la regia di Chazelle conduce verso l’abbagliare della dimensione tecnologica, la scrittura di Josh Singer consente alle vicende umane di embricarsi attorno ai prototipi di astronavi e divenire il cuore pulsante dell’opera.
Damien Chazelle, al suo quarto film, ha dimostrato la propria versatilità nel maneggiare l’oggetto cinematografico, un intento eclettico di sviscerare i temi più cari attraverso la sperimentazione di generi diversi. Dopo l’abbacinante fotografia e il trambusto sonoro di La La Land, infine il silenzio dello spazio siderale. Che è il silenzio del timido Neil Armstrong, sin da giovane messo alla prova dalla vita con lutti familiari decessi di altri piloti suoi colleghi. Si irrigidisce, diviene taciturno, granitico, resistente alle più potenti oscillazioni delle simulazioni dei viaggi interstellari. Il frequente uso della soggettiva è un elemento chiave per penetrare la simbiosi tra Armstrong e le algide architetture che lo compongono. Poi, in contrasto, giungono i campi larghi, fotografia tiepida, il nucleo familiare che resiste alle intemperie e si rinnova costantemente come unico mezzo di sopravvivenza.
Proprio la sopravvivenza, assieme al coraggio di prevaricare le debolezze e gli intoppi dei sistemi: l’allegoria di Chazelle, che era partita dal batterista dalle mani sanguinanti di Whiplash, giunge qui a coprire un’intera generazione. First Man, per quanto il contesto generazionale indurrebbe a suggerire un’esaltazione dell’America, appare invece come uno sguardo sorprendentemente sincero e severo su un passato recentissimo. La conquista della Luna era un capriccio della corsa agli armamenti. Dopo l’avanzare tecnologico della Russia, e i difetti di fabbricazione dei prototipi, e i fallimenti delle prime spedizioni in orbita sulla Terra, l’intento degli Stati Uniti era divenuto sostanzialmente politico. E come ogni cosa fatta a fini propagandistici, le sue dinamiche divennero abbastanza paradossali, in particolare in relazione agli immensi finanziamenti per condurre la caliginosa Guerra Fredda.
Che Chazelle fosse un virtuoso della regia, era cosa nota. In First Man, la tentazione di replicare il roboante approccio nolaniano (seppure in versione ridotta), è palpabile, e talvolta si cede all’architettura delle medesime inquadrature di Christopher Nolan, coordinate da un montaggio lisergico. Tuttavia, la frenesia delle scene non è legata al respiro epico e plastificato di Interstellar. Di fatto, riesce a replicare al singolo taglio di montaggio la sensazione di pericolo, di nausea incipiente al vorticare nello spazio, oppure il timore di essere foruncoli nell’universo con la possibilità di disintegrarsi in qualche attimo alla minima avaria. A legare il tutto, la voce fuori campo di Houston che dialoga con gli astronauti sugli aspetti tecnici, a rafforzare il taglio realistico e non artificioso della narrazione.
In definitiva, la maestosità delle immagini non appare mai stucchevole. Le sequenze che compongono la scena dell’allunaggio sono un paradigma irripetibile di coalescenze tecniche. La colonna musicale di Justin Hurwitz, qui ripetuta in loop, non è la sintesi in note della grandezza/onnipotenza dell’uomo: è piuttosto il guardare la Terra da un altro pianeta e sentirsi sradicati da tutto, abbandonati alla nostalgia di ciò che ci rende umani e che dalla Luna appare irraggiungibile. L’allunaggio di First Man, e per estensione l’intera opera, è un esempio di cinema realizzato sottovoce, con eleganza e struggente emotività: guardare il riflesso nero del casco di Neil Armstrong è immergersi ancora una volta nel dubbio, e la necessità di superarlo.
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