
Venezia75: Sulla mia Pelle, l’occasione mancata
August 31, 2018Sulla mia pelle, di Alessio Cremonini, film d’apertura della sezione Orizzonti della 75esima Mostra del Cinema di Venezia, ripercorre le vicende di cronaca legate alla morte di Stefano Cucchi, avvenuta nel 2009.
La storia giudiziaria è cosa nota: un giovane della borgata romana viene arrestato per possesso e spaccio di stupefacenti, quindi posto in custodia cautelare e durante la notte picchiato dai carabinieri. A seguito, il tribunale conferma l’arresto, tuttavia Cucchi subisce le conseguenze delle lesioni inflittegli (traumi vertebrali, emorragia vescicale, fratture costali), e le sue condizioni cliniche peggiorano fino alla morte, per ritardo nelle cure dovute al rifiuto all’assistenza da parte di Cucchi, per negligenza dei sanitari, e omertà delle forze dell’ordine. Le indagini, tutt’ora in corso, sono un capitolo doloroso della cronaca italiana e fornivano un ottimo substrato per una potente narrazione di denuncia e responsabilizzazione.
Le intenzioni alla base di Sulla mia pelle sono nobilissime; la realizzazione, tuttavia, presenta alcune perplessità. La struttura del film è più affine al documentario che al cinema, e probabilmente come documentario avrebbe espresso tutta la potenza della vicenda di fondo (la testimonianza della sorella che continua a combattere la battaglia legale, l’esposizione degli atti processuali…). Manca il cinema, in questo film, oppure ci sono rarissimi sprazzi di cinema (il nucleo familiare raccolto nel finale; la sequenza della visione del cadavere), poiché la quasi totalità della vicenda è narrata con anonimo piglio cronachistico, come una asettica trasposizione in immagini dei documenti giudiziari, senza un intento poetico né uno sguardo complesso sugli eventi che legittimi una consistenza autoriale del film.
Alessandro Borghi, nel ruolo di Cucchi, è il cuore dell’opera: c’è ossessione per il suo corpo, per l’evoluzione dei suoi lividi, per il corpo martoriato. Il desiderio quasi sadico di esperire le sue sofferenze prevarica ogni altro elemento narrativo: si tralascia la violenza perpetrata dai carabinieri; le vicende familiari sono a stento accennate; gli aspetti medici largamente trascurati. La riproposizione ossessiva dei lividi di Borghi non è funzionale al meccanismo dell’indignazione concreta, forse a quella più spicciola, evanescente.
Domina cioè una visione manichea del mondo, che nulla ha a che fare con lo spettro dei grigi in cui si consuma la maggior parte delle verità. Neanche Cucchi è il buono, in questa visione del mondo: tutte le figure sono senz’anima, una plastificazione algida delle vite, tutti i carabinieri sono crudeli, il giudice insensibile, l’avvocato incompetente, la sorella (Jasmine Trinca) severa, i medici aguzzini. Non esiste una riflessione sulla colpa, sulla sua graduazione, e non viene problematizzata la realtà ospedaliero-carceraria, né – ed è più grave – la violenza perpetrata dalle forze dell’ordine.
È stata mancata l’occasione per osare maggiormente, sfruttare una vicenda nota (e in gran parte già rielaborata in immagini mentali in chi ne ha seguito le dinamiche) per indagare non solo il caso specifico ma una realtà più complessa, più marcia, scandagliando angoli più oscuri del contesto sociale che, per qualche ragione, qui sono stati relegati a mero fondale del Borghi sofferente. A partire dal titolo, che preannuncia un legame dominante alla carne, il cuore dell’opera ruota suo malgrado nella fallace rappresentazione di processi divenuti meccanici e delle loro bieche, organiche conseguenze.
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