
Venezia75: The Ballad of Buster Scruggs e altre storielle dimenticabili
September 2, 2018The Ballad of Buster Scruggs, regia di Joel e Ethan Coen, film in Concorso alla 75esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Antologia di sei racconti a sfondo western, di cui il primo è la Ballata di Buster Scruggs, a cui seguono piccole avventure di uomini che riassumono, in forma diversa, l’idea profondamente coeniana dell’impossibilità di dominare gli eventi, di essere di continuo in balia del caotico, imprevedibile fluire delle cose.
Si tratta, tuttavia, di un’opera scanzonata, in cui si susseguono fasi di ilarità ad altre più cupe, inquietanti fino al cinismo. La violenza e la risata sono parti dello stesso corpo carnale, e si danza di continuo tra la vita e la morte, tra canzoni popolari e proiettili vaganti. Tutto l’immaginario western viene riassunto in queste fiabe: gli archetipi, le atmosfere, le battaglie e gli sterminati paesaggi sono palpabili in ogni frammento di sfondo digitale. L’idea originaria, partorita da Netflix, era di realizzare una serie tv western, poi trasformata in un film che accoglie le varie trame in sei piccole storie. Il peso delle modifiche, di una idea originale poi impiastricciata, è intuibile: la pellicola, al netto della ineccepibile atmosfera di genere, è poco riuscita, un divertente esercizio di stile realizzato con un apparato tecnico minuzioso. Ma il peggior prodotto dei Coen sarebbe comunque tecnicamente impeccabile, poiché il loro sguardo sul mondo e la loro abilità nel costruire scene e modellarle col montaggio è sopraffina.
L’ambientazione crepuscolare del western di frontiera è nelle loro corde da tempo (Non è un paese per vecchi; Il Grinta). Tuttavia, quella matrice coeniana, quel fuoco sacro che si spingeva da Blood Simple fino a A proposito di Davis (con un doveroso passaggio per Ladykillers) sembra smarrito in una scrittura sorniona e ripetitiva, che non aggiunge nulla alla loro complessa poetica, anzi ne svilisce la linfa, la banalizza a racconto neanche fiabesco (cosa che il titolo comunque promette), quanto commerciale. La fiaba, infatti, riesce con immagini semplici o allegoriche, di rapida intuizione, a costruire metafore ed insegnamenti per la vita. Di queste fiabe alcune raccontano la stessa cosa, altre non riescono a comunicare nulla che abbia una profondità dignitosa.
Alcuni racconti, in particolare, sono sprazzi di vicende in medias res troncate nella loro evoluzione, canovacci di situazioni più ampie e complesse, come se bastasse cogliere qualche intuizione dal poco tempo fornitoci, oppure saziarsi della comicità scabra che viene proposta. Protagonista del primo racconto è un criminale cantastorie, a cui segue un rapinatore sfortunato, un imbonitore senza braccia né gambe, un cercatore d’oro, una donna a capo di una diligenza, quattro viaggiatori verso un albergo: substrati interessanti, mostrati per essere a stento annusati e poi nascosti alla vista. Il respiro generale risulta ondulato, calibrato per non consentire l’avanzamento della noia, così che il ritmo non venga alterato e l’intrattenimento spicciolo si mantenga pressoché costante.
La filosofia dei Coen verte sul sostanziale cinismo del mondo, al rasentare del nichilismo, e la risata come unica catarsi possibile. Questo collage di storie relega il cinismo a passatempo infelice, e la risata è piuttosto espressione di caduta su buccia di banana.
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