
Venezia75 – Restauri: La strada della vergogna, l’ultimo melodramma di Mizoguchi
September 3, 2018Nella sezione Venezia Classici alla 75ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia non mancano dei restauri preziosi di pellicole che hanno fatto la storia del cinema. Tra i titoli in programma anche La strada della vergogna del ‘56 di Kenji Mizoguchi, film vincitore del Leone d’argento alla 21esima edizione del festival e con cui il regista giapponese si è potuto far conoscere ed apprezzare dal pubblico europeo. Ne La strada della vergogna (Akasen Chitai 赤線地帯) ritroviamo l’impegno sociale e lo stile lirico tipici di Mizoguchi, elementi che a partire dagli anni ’30 hanno caratterizzato la corrente del nuovo realismo e che accompagneranno la sua intera carriera. Il regista ha avuto un occhio di riguardo verso la condizione femminile, riprendendo tematiche sia del passato (Vita di O-Haru, donna galante ’52; I racconti della luna pallida di Agosto ’53 e L’intendente Sansho ’54, Gli amanti crocifissi ’54) che del proprio tempo (come in questa sua ultima opera).
Siamo negli anni ’50 e dalla panoramica dei titoli di testa ci viene presentato il quartiere di Tokyo Yoshiwara, nelle cui stradine si intrecciano le storie notturne di clienti dei locali e delle prostitute. Mizoguchi ha tratto le vicende dal racconto di Yoshiko Shibaki Le donne di Susaki per dar vita su grande schermo alla quotidianità di cinque donne, che per necessità (chi per pagare debiti, chi per mantenere la famiglia) si sono ritrovate a lavorare nel bordello Dreamland. Il microcosmo di questa particolare famiglia è composto dalle protagoniste che vogliono fuggire dalla povertà e dal Signor Taya (Eitaro Shinde) che gestisce ed organizza la casa di piacere. L’uomo non è mosso unicamente dallo scopo di lucro ma anche da un lato umano: acquista tessuti per nuovi kimono e soprattutto si mostra preoccupato per la sorte delle sue donne se la legge per l’abolizione della legalizzazione della prostituzione verrà approvata. Infatti lo vedremo recarsi personalmente alla Dieta (parlamento giapponese) che quel giorno discuterà la legge per riportarne le notizie una volta tornato a casa.
Tra il vento di puritanesimo portato dall’occupazione americana a seguito della 2^ Guerra Mondiale, l’ipocrisia di una società giapponese che si sta sempre più occidentalizzando e la decadenza dei bassifondi dei quartieri a luci rosse, Mizoguchi focalizza lo sguardo sul microcosmo del Dreamland, seguendo la vita di tutti i giorni e svelando i vari background che hanno portato le donne a diventare delle meretrici. Degrado e solitudine possiamo percepirli dalle conversazioni e confidenze, dalla difficoltà di mettere da parte la somma per riscattare i propri debiti come di tenere unita la famiglia ma ciò che emerge in modo lieve è l’umanità, i sentimenti che stanno alla base di quello che La strada della vergogna è: un racconto corale, uno spaccato della società giapponese e della morale dell’epoca.
Le donne di Mizoguchi continuano la vita di sempre, ma si interrogano su cosa faranno se la legge entrerà in vigore (seguiremo l’iter anche attraverso gli altoparlanti per strada e la radio in casa) perché nonostante la resilienza e il loro darsi da fare, ognuna di loro è destinata al sacrificio: c’è chi non ha più una casa dove tornare, chi rinnega la vita precedente o chi non è in grado di accettare lo stato attuale delle cose. Ma è dalla convivenza, dalla condivisione di un pasto caldo e di un tetto comune che riescono ad aiutarsi come possono, a confortarsi ma anche a scontrarsi (non mancheranno bisticci ed invidie, specie delle più anziane verso le giovani leve che “rubano” loro i clienti).
Dreamland: un non-luogo che da quattro generazioni ospita clienti a cui viene regalato un sogno, un’illusione di qualcos’altro rispetto alla normalità fatta di famiglia e lavoro. Alcuni di questi uomini si immaginano di poter comprare con denaro e doni ciò che trovano tra queste quattro mura, garantendosi una specie di felicità illimitata (arrivando anche a promesse di matrimonio). Ad eccezione del proprietario del bordello, i personaggi maschili ne La strada della vergogna sono deboli, codardi, vili: clienti gelosi, bugiardi, violenti e disperati. Ci sono inoltre genitori, mariti e figli che rinnegheranno le proprie donne una volta trovate, uomini sopraffatti dalla vergogna e dal disonore, da ciò che dice la gente. Vicende spietate che finiscono in lacrime o esplodono in rabbia repressa, conducendo anche alla pazzia o ad intenzioni suicide.
Tra le storie più toccanti ne La strada della vergogna c’è quella di Mickey: “nome d’arte” di una giovane prostituta che veste all’occidentale, dai modi sfrontati (interpretata da Machiko Kyo, protagonista in Ugetsu Monogatari e attrice anche di Ozu e Kurosawa) il cui padre (un ricco commerciante di Kobe) riuscirà a trovarla per ricondurla a casa, non prima di averla accusata del disonore che è ricaduto sulla famiglia, alla carriera e ai matrimoni “a rischio” dei fratelli se si venisse a sapere il mestiere che ha intrapreso la ragazza. Lei si impone e rimarrà al Dreamland, ricordando al genitore i tradimenti verso la madre. C’è anche la storia di una madre, Yumeko (Aiko Mimasu) che riuscirà a mettersi in contatto con il figlio Shuichi e ad incontrarlo davanti la fabbrica dove lavora.
La vergogna del ragazzo è mista al disprezzo ed i sacrifici della donna per crescerlo rimarranno un pugno di polvere (come quella del caotico cantiere di periferia in contrasto con il modo composto e fuori luogo di Yumeko di indossare il kimono) e finiranno per trasformarsi in pazzia. Il canto non-sense della donna ci spezza, ferendoci tramite la crudeltà di figli che non riconoscono le madri o di amanti gelosi, come è successo per la cinica e piena di debiti Yasumi (Ayako Wakao) aggredita da un cliente violento o per Hanae (Michiyo Kogure) che deve tirare avanti nonostante abbia un figlioletto e un marito malato e disoccupato sulle proprie spalle.
Il rigore figurativo della fotografia in bianco e nero mette in risalto l’eleganza minimale dei dettagli, rendendo l’estetica di Mizoguchi uno stile riconoscibile ed imitato da molti registi che sono venuti dopo di lui (tra gli amanti anche Eric Rohmer). La mdp è spesso fissa (soprattutto nel riprendere i piani sequenza degli interni) e quando segue i personaggi che si spostano da una stanza all’altra lo fa in modo invisibile che quasi non ce ne accorgiamo. Sono presenti anche delle re-inquadrature (come quando “spiamo” da una casa di fronte gli amanti incorniciati da una finestra aperta del Dreamland) e dei decadrages (personaggi ai bordi dell’immagine e separati da shoji centrali).
La profondità di campo, presente sia negli interni che negli esterni, distribuisce gli attori su più piani, rendendo le azioni libere di svilupparsi in prospettiva. Affascina quando le luci dei locali per strada si spengono e avanza il mattino, mentre nella casa suona la sveglia che avvisa la fine del lavoro notturno alle prostitute. Le luci artificiali e le ombre del passato (che le protagoniste portano in sé) sono elementi inscindibili: il dramma umano è leggibile sui visi quando diventano struccati come quando le parrucche sono tolte, rendendo le protagoniste vulnerabili ed esposte al nostro sguardo. Al dramma dei sentimenti si unisce la critica alla società e alla morale del tempo.
I personaggi di Mizoguchi sono vittime condannate a mettere insieme i pezzi di una quiete che non esiste, nell’incessante ripetizione di gesti e pose che ne segnano la routine e una vita intera. C’è l’abbandono, la tragicità di esistenze ai margini e il lato melodrammatico in gran parte della filmografia del regista ma in questa sua ultima pellicola viene sottolineata la condanna femminile alla sopravvivenza in un mondo ostile, formalizzata nella scena finale in cui una giovanissima neofita (Shizuko) impaurita ed incapace di adescare i clienti che passano per la strada davanti al bordello, si ritrae dietro alla parete.
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