Venezia75: Friedkin Uncut, genio e spregiudicatezza di un maestro

Venezia75: Friedkin Uncut, genio e spregiudicatezza di un maestro

September 5, 2018 0 By Angelo Armandi

Friedkin Uncut, documentario di Francesco Zippel proiettato alla 75esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. William “Billy” Friedkin è irrefrenabile essenza dionisiaca. L’anticonformista, l’antiaccademico. Il rigetto per qualsiasi compromesso. Che gira le scene quasi sempre una volta sola (“Buona la prima” come modello di vita), che tratta male Gina Gershon sul set di Killer Joe solo per non disturbare l’atmosfera ambigua che comincia ad avvolgerla a metà film. Che si cala le brache nelle scene di nudo se gli attori si sentono a disagio. Che ha un ego illimitato, nonostante questo non basti ad odiarlo, anzi, se possibile, serve ad amarlo di più.

Perché ha una cultura sterminata, perché ha un’abitazione piena di libri, una collezione di opere d’arte, e antichi disegni di Ėjzenštejn. Perché ha violato un centinaio di leggi per girare la famosa scena dell’inseguimento de Il braccio violento della legge; perché da perfetto nerd ha studiato nei minimi dettagli come vengono condotte le indagini della polizia, per essere il più verosimile possibile nel racconto cinematografico. Perché ha reclutato “esperti del settore” per insegnare in modo minuzioso a Willem Dafoe come produrre banconote false in Vivere e morire a LA. Perché ha chiesto ad un amico mafioso il permesso di infiltrarsi nei suoi club allo scopo di scoprire la realtà sadomasochistica omosessuale prima di girare Cruising.
Perché viene dalla televisione, e dopo aver visto Quarto Potere ha capito che il cinema sarebbe diventato la sua strada, e con la solita ossessione maniacale ha creato un cinema poliedrico, sempre diversificato, tuttavia accomunato dalla sua inconfondibile firma, il piglio documentaristico nella forte aderenza alla realtà e il desiderio di mettere su celluloide ogni capriccio che gli passa per la mente nella realizzazione delle scene.

A guardarlo, nel set di Friedkin Uncut realizzato nella sua abitazione, mentre beve caffè e fa battute di continuo, come se non riuscisse ad esimersi dal trascinare costantemente l’attenzione su di sé, si direbbe che la forza del suo talento risiede nella insaziabile curiosità. Friedkin è l’Ulisse del nostro tempo, quello che non accetterebbe per nulla al mondo di sentirsi dire “Questo non è possibile”: è un continuo cercare, indagare, domandarsi (L’Esorcista è il prodotto delle innumerevoli domande del credente, ed è animato da quel fuoco sacro che ha insegnato al cinema i dettami dell’horror), mantenendo un equilibrio difficilissimo tra talento ed umiltà. Billy Friedkin è clownesco, consapevole di aver scritto la storia del cinema con Il salario della paura (nonostante sia stato il film che ha affossato la sua carriera), tuttavia non ha permesso a questa consapevolezza di annebbiargli la mente. Quando si esprime sulla professione del regista, parla sempre di “lavoro”, mai di “arte”. E l’impegno non viene mai accantonato, semmai costantemente rafforzato.

friedkin uncut

Il documentario sulla vita uncut di Friedkin è opera pregiatissima, limata con premura nei minimi particolari, la cui narrazione procede seguendo l’ordine cronologico delle opere, scandagliandone i retroscena più significativi ad esplorare la natura ribollente (e, a tratti, controversa) di Friedkin, senza mai cadere nell’apologia o nell’agiografia artistica. La natura del regista è raccontata attraverso la testimonianza di colleghi eccellenti, dai più prevedibili (Francis Ford Coppola, Philip Kaufman, Dario Argento, Quentin Tarantino, Willem Dafoe, Juno Temple), fino ai più sorprendenti: Wes Anderson (il cui cinema artificioso è l’opposto di Friedkin), Edgar Wright (un altro brillante nerd del cinema), e Damien Chazelle (ritenuto il più promettente regista della nostra generazione, e che nel documentario racconta di un invito a casa Friedkin abbastanza singolare), fino a Mattew McConaughey, la cui carriera ha imboccato la corretta direzione grazie al suo ruolo in Killer Joe.

Tutti, nostro malgrado, vorremmo essere Friedkin. Un essere umano come lui, pieno di vitalità e lati oscuri, possiede quella linfa che vorremmo percorresse il nostro sangue. Quando spiega la ricetta segreta per fare cinema, pur nella burla, esprime tre concetti che lo riguardano nel profondo. L’ambizione, ossia il nutrimento della curiosità. La fortuna, ossia il nutrimento della incoscienza che consente di esperire il più possibile delle situazioni del mondo. E la grazia di Dio, perché alla fine, come leitmotiv del documentario, si arriva sempre all’interrogazione sull’esistenza di Dio, da L’Esorcista a The Devil and Father Amorth.

In tutti gli umani albergano il bene e il male, questo affascina Billy Friedkin, l’ossessione che lo accompagna come artista e come individuo. Il fatto che il diavolo abbia un lato buono, poiché creatura di Dio, nonostante abbia scelto il male. Oppure che Hitler e Gesù, a detta sua, siano i più interessanti individui della storia dell’umanità; e questa frase, senza troppi fronzoli come è nella sua natura, riassume praticamente tutto.

Angelo Armandi