Venezia75 – Restauri: Il Posto di Ermanno Olmi, una lezione di cinema

Venezia75 – Restauri: Il Posto di Ermanno Olmi, una lezione di cinema

September 7, 2018 0 By Simone Tarditi

Qui è come una famiglia, sa?

Ermanno Olmi è stato uno dei più lucidi registi che l’Italia abbia mai avuto, uno dei più colti, un autore dalla sensibilità unica. Lascia un vuoto incolmabile nel mondo del cinema, ma ha dato tanto a questo paese. Non è retorica. Un titolo come Il Posto meriterebbe di stare in alto nelle classifiche dei più importanti film italiani, ma non è ancora conosciuto come dovrebbe. È un peccato che sia stata la morte di Olmi a scatenare una corsa al recupero delle sue pellicole, però se non altro è l’unico fatto positivo: con la sua scomparsa si è tornato a parlare di lui, dei suoi lavori (tra cui molti documentari) e ben vengano tutte le retrospettive e gli omaggi che permetteranno di conoscere ancora di più il suo corpus artistico. Il restauro de Il Posto che è stato presentato alla 75ma Mostra del Cinema di Venezia fa parte di numerose iniziative miranti a ricordare Olmi.

 “Non sei più un bambino

Domenico è sveglio, dorme in soggiorno, i rumori e le luci accese sono il sintomo che di lì deve cercare di andarsene. Crescere vuol dire avere consapevolezza di non poter essere piccolo per sempre. Il protagonista de Il Posto attraversa Meda, la sua città, a venti chilometri da Milano e si reca nel capoluogo lombardo per una serie di test atti a verificare i requisiti necessari a essere assunto in una grande azienda. C’è il boom economico e ricompaiono possibilità di lavoro. C’è il vestito buono, l’unico, e ci sono tanti come lui. C’è la verifica di matematica senza calcolatrice e c’è l’esame psicotecnico. Il posto fisso, quello che Mario Monti etichetta come “monotono” cinquant’anni dopo, è ancora nel 1961 il sinonimo del successo, della tranquillità, del “qualunque cosa succeda, un impiego ce l’ho”.

Monotonia o no, quello dipende dalla percezione e dal coinvolgimento, a Domenico è però chiaro che quel passo metterà in moto un meccanismo, quello del tempo che passa e della fine dei giochi. La spensieratezza deve svanire e lasciare posto all’accettazione perché, se permane, potrà solo infrangersi come una mosca sul parabrezza di una Lancia Aurelia. Domenico guarda suo padre ed è come se fissasse uno specchio e vi proiettasse l’immagine del decadimento fisico che verrà. L’invecchiamento non è neanche il male maggiore, peggio è la graduale consapevolezza di quel che il futuro riserva.

Dapprima farà il fattorino, poi l’impiegato scribacchino da schiena curva fino al suono della campanella. La disillusione diventerà presto delusione, che dopo poco si trasformerà in desolazione. L’amore, quello a prima vista, quello che riempie la testa di struggimento e gioia, quello che occupa ogni pensiero, può salvare? Può impedire l’ombra del suicidio che vaga nella metropoli? La condivisione di un’esistenza comune, come l’usare lo stesso cucchiaino per il caffè, è la chiave per resistere alla mediocrità della vita? C’è spazio per la Fede oltre che per l’anello al dito? Forse correndo, mano nella mano, le risposte arriveranno da sole.

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Simone Tarditi
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