
Venezia75: Stripped (Erom), genesi di una stupro
September 7, 2018Stripped (Erom), film in concorso nella sezione Orizzonti della 75esima Mostra del Cinema di Venezia. Pellicola israeliana del regista Yaron Shani, la prima parte di una trilogia che indaga la dimensione dell’amore nei suoi risvolti più aspri, taglienti, controversi.
Il corrispettivo italiano del titolo rimanda alla lacerazione, alla nudità ottenuta con coercizione: il film racconta la genesi di uno stupro, ripercorrendo in parallelo le vicende della vittima Alice (Laliv Sivan), scrittrice di successo alle prese con la metabolizzazione psichica e fisica dello stupro, dall’agorafobia agli attacchi di panico; e dell’ignaro aguzzino, il giovane Ziv (Bar Gottfried), dedito alla musica, costretto ad arruolarsi nel servizio militare e rinunciare ai suoi sogni.
La realizzazione del film fa luce sulle finalità dell’opera: ai due protagonisti è stato assegnato il ruolo, che hanno interpretato per un intero anno, durante il quale si sono susseguite le riprese che testimoniavano situazioni realmente accadute, come un falso documentario favorito dal piglio registico fedele ad un certo sguardo asettico e silenzioso sulla realtà, tuttavia mascherato da un intento artistico e una narrazione propri della finzione. L’intera opera è una brutale riflessione su una concezione della sessualità, sorprendentemente pregna di violenza, che oggettiva i corpi e li rende il mezzo ideale per lo sfogo di frustrazioni, ossessioni, nevrosi. Lo stupro, come apogeo estremizzato di questa mercificazione del sentimento, non ha infatti quasi mai a che fare con il sentimento amoroso.
Il lento, inesorabile avanzare del modello di vita occidentale, che grazie alla globalizzazione permea gli angoli del pianeta come una lenta infezione, ha cancellato l’umanità dai corpi, resi indistinguibili, e bersagli di un mercato selvaggio. La pornografia, come sineddoche della nostra mutazione, è uno dei fattori determinanti. Il giovane Ziv, nudo mentre suona la chitarra, sente l’ansimare in sottofondo provenire dai filmati porno su internet, e sembra insensibile, assuefatto: dentro di sé ha costruito una idea di sessualità che coincide con la violenza visionata, in cui le donne sono corpi sottomessi e gli uomini dimostrano il loro carattere con l’aggressività ferina; è il trionfo di un capitalismo applicato al sesso, di un sistema che si nutre per automantenersi e impone una fidelizzazione indiscriminata, col prezzo dell’alienazione e della de-umanizzazione.
Le parti del corpo coinvolte dallo stupro, ossia i genitali maschili e femminili, ma anche i capezzoli, o gli stessi filmati pornografici, sono censurati. Una scelta artistica efficace, a sottolineare il rifiuto di sessualizzare ciò che è invece umano, e nell’impossibilità di ricondurre l’amore e la carne alla loro natura più nobile, la censura è il mezzo più radicale, violento, efficace per interrompere il circuito che alimenta l’inganno della mente.
Lo Stato e la famiglia si rendono complici dell’infelicità dell’individuo, costretto a rinunciare alle proprie ispirazioni, e gli antichi valori collidono con un progresso tecnologico e culturale all’apparenza amorfo e spietato. Il giovane Ziv deve arruolarsi nel servizio militare obbligatorio e rinunciare al sogno di diventare chitarrista. La sua idea di sessualità corrotta viene nutrita da un sistema coercitivo che non è troppo distante dalla realtà di Full Metal Jacket: Ziv cambia nella sua espressione, cambia il fisico, cambia persino la personalità (un Palla di Lardo a Tel Aviv). Quel periodo di violenza psicologica, trascorso ad eseguire ordini e divenire macchina di morte, ha accresciuto il germe embrionale della rabbia repressa, dell’odio nei confronti dello Stato, oltre che della famiglia complice di inettitudine. Il desiderio di aggressività, collegato all’idea di sessualità digitale (l’unica davvero esperita), esita nello stupro.
Se Ziv è il meccanismo della genesi dello stupro, la parabola di Alice è invece l’insieme delle sue conseguenze: l’incrinatura della psiche, il diffidare della gente attorno, la somatizzazione del trauma, il blocco emotivo insuperabile: lo stupratore violenta in primis la coscienza, poi penetra il corpo, e le stigmate sono profonde, e tali appaiono nel film, che non si (e non ci) risparmia nulla, allo scopo di rendere lo spettatore responsabile/colpevole del dramma, e condividere le pene senza compromessi visivi, come una responsabilizzazione ex abrupto sul fenomeno.
Il monito che si sprigiona da Stripped deriva da un’impellenza artistica palpabile: indicare la direzione che ha intrapreso la nostra civiltà, per tradurre in immagini un interrogativo inquietante: si riuscirà a fermare tutto questo, e ritornare umani?
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