
Busan 2018: Song of the Tree, uno sguardo al primo musical del Kirghizistan
October 5, 2018“There is no wind without clouds. There is no forest without trees”
Non è Song to Song, non è Song of Granite. E non è neppure Under the Tree. È il Kirghizistan del XVIII° secolo quello mostrato nell’autoctono Song of the Tree presentato alla 23ma edizione del sud coreano Busan International Film Festival dopo l’anteprima in patria e poi, ad aprile, alla kermesse cinematografica di Mosca (Russia). In Europa è un’epoca di scontri, caduta di alcune monarchie e splendore di altre, ma in linea di massima ci si sta spostando verso un periodo dove le superstizioni vengono via via abbandonate a favore della scienza, lume che guiderà nei meandri dell’ignoranza. Nel territorio centro-asiatico dove il film è ambientato si è invece ancora legati a tradizioni anacronistiche pure per quegl’anni, dove i problemi all’interno dei villaggi sembrano potersi risolvere con una buona dose di frustate e grazie alla legge del taglione.
La vicenda di Song of the Tree è delle più classiche … per non dire delle più antiche: la relazione di due giovani innamorati viene ostacolata da questioni famigliari, il ragazzo viene spinto giù da un burrone e creduto morto, ma il vero contrappasso si realizza quando viene tagliato un albero sacro con una conseguente maledizione che si abbatte su quella gente. Leggende popolari si mischiano a litigi tribali.
Se il recente The Lure è stato il primo musical polacco, Song of the Tree è il primo musical nella storia della Repubblica del Kirghizistan, ma è altamente probabile che il film rimarrà confinato in quel territorio perché è difficile pensare che il pubblico internazionale possa affezionarsi a questa storia, a questi personaggi. Nonostante la sua semplicità, è un titolo diretto con competenza e mano ferma, questo è innegabile, però è altrettanto chiaro quanto sia distante da un qualsiasi musical realizzato altrove. La stonatura principale? I momenti di cantato si esulano dal resto della narrazione invece che diventarne parte integrante e ciò significa mancanza di omogeneità. Come giudicare, invece, l’essere ricorsi a datati filtri blu per le scene notturne girate di giorno, un omaggio agli anni ’50 del Technicolor? Uno stratagemma quanto mai posticcio?
Lontano dalle capocce coi colbacchi o con le treccine intrecciate da perline e lustrini, Song of the Tree funziona meglio quando veicola l’unico discorso che, dall’alba dei tempi, funziona sempre, ossia l’attaccamento alla terra ai frutti che produce simbolizzato dall’albero come luogo totemico dove ritrovarsi per pregare.
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