L’Olocausto secondo Alfred Hitchcock

L’Olocausto secondo Alfred Hitchcock

January 27, 2019 0 By Simone Tarditi

Quella di Night Will Fall, regia di André Singer, è una storia dentro la Storia. Nell’arco di oltre settant’anni sono state spese innumerevoli parole sull’Olocausto, argomento apparentemente inesauribile, ma via via molti libri e documentari hanno iniziato a riciclare concetti, studi, interi immaginari. Di fatto, non esistono zone d’ombra sul perché l’Europa sia sprofondata in una guerra mondiale, la seconda, da cui è uscita a pezzi, e se ci sono però ancora misteri e coincidenze inspiegabili, altrettanto stupefacente è il riemergere oggi di macro-storie di cui si è saputo troppo poco. Se veritiero, ogni contributo culturale alla trasmissione della memoria è lodevole e merita attenzione. Niente revisionisti mentecatti, grazie.

Night Will Fall resuscita letteralmente una vicenda poco nota e rimasta a prendere polvere sugli scaffali. Succede che, sul finire del conflitto, il fronte anti-germanico (gli inglesi, gli statunitensi) decida di usare il cinema come mezzo per documentare le atrocità compiute da Hitler. A capo del progetto di un vero e proprio film, non di finzione, c’è il produttore Sidney Bernstein, il quale chiede a un suo amico, che tra le altre cose è desideroso di “fare la sua parte”, di dargli una mano. Quel suo amico è nientemeno che Alfred Hitchcock, recatosi a Hollywood già da qualche anno e che ha da non molto completato un film a tema WWII: Lifeboat – Prigionieri dell’oceano.

hitchcock holocaust film nazi

Alfred Hitchcock, 1939

Il documentario, intitolato German Concentration Camps Factual Survey, è in piena lavorazione già nel 1944. Hitchcock arriva un po’ dopo, nel giugno del ’45. Il montaggio, così come la selezione di quali materiali usare, è in corso da mesi e il regista britannico finisce col ricoprire il ruolo di supervisor director. Per farla breve: firmando quell’opera non solo ci mette il suo nome, ma si prende la briga di assemblare tutto quanto secondo una sua idea molto cinematografica.

La maggior parte dei filmati sono privi del suono oppure girati in formati diversi (i primi che vengono realizzati dagli americani sono muti, in b/n e in 35mm, mentre successivamente subentrano i 16mm, di cui alcuni a colori, nonché pure delle riprese effettuate dai cineoperatori sovietici), ma dagli appunti pervenuteci risulta chiaro che Hitchcock vuole sfruttare in chiave drammatica ciò che, per ovvi motivi, non eccelle sul piano della qualità. Come ottenere il maggior effetto disponendo non delle migliori risorse? Applicando la più grande lezione che il cinema gli abbia riservato: l’uso di una sceneggiatura.

Hitchcock dà ordine a quella sequela di immagini e fornisce consigli ai montatori su come completare il documentario. Per esempio, spiega loro quanto sia importante mostrare che il massacro dei campi di concentramento venisse compiuto a pochi chilometri da luoghi dove i tedeschi andavano a rilassarsi in vacanza. Idee, le sue, rintracciabili anche in tanti dei suoi film: l’orrore e i mostri si celano spesso dietro un velo di apparente normalità, come il Norman Bates di Psycho.

Forse troppo in ritardo coi tempi, forse oggetto di un complotto, il documentario non verrà mai proiettato nella sua interezza fino al 2017 (è stata fatta una proiezione speciale a New York a gennaio) e le sue bobine vengono impilate in qualche archivio per oltre mezzo secolo. Succede anche dell’altro. Quel film viene preso e riorganizzato da un cineasta che, dopo aver lasciato il continente europeo, si sta facendo un nome in America e i cui parenti sono finiti nelle camere a gas naziste: Billy Wilder. Il regista de L’appartamento e di Uno, due, tre riceve ordini “dall’alto” e confeziona ventidue minuti di piatta propaganda americana con tanto di marcetta trionfale: Death Mills, del 1945.

Il film di Bernstein e Hitchcock sarebbe stato (ed è, per quel che ci è lasciato sapere) non solo esteticamente più rilevante, ma avrebbe mandato un messaggio chiaro: al di là dei colpevoli conclamati, l’umanità deve fare in modo di non scivolare mai più in un nuovo Olocausto, in una nuova era di terrore. Death Mills si limita, al contrario, a puntare il dito sui tedeschi, rei di aver commesso un crimine così grande, e di celebrare gli Stati Uniti come difensori della libertà. Ai margini di questa pagina storica c’è un episodio fondamentale: quel che avevano prodotto Bernstein e Hitchcock viene sì, immagazzinato, ma i filmati girati in posti come Dachau e Bergen-Belsen serviranno come prova durante i processi ai nazisti. Una vittoria, nonostante tutto.

Simone Tarditi
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