Berlinale69: Born in Evin, andare alla scoperta di se stessi

Berlinale69: Born in Evin, andare alla scoperta di se stessi

February 12, 2019 0 By Simone Tarditi

L’attrice Maryam Zaree (comparsa di recente anche all’interno dell’ultimo lavoro di Christian Petzold, In Transit – La donna dello scrittore) dedica anima e corpo a questo suo primo documentario dietro e davanti la macchina da presa, Born in Evin, presentato alla 69ma Berlinale nella sezione Perspektive Deutsches Kino.

Film intimo, un’indagine alla ricerca dei suoi primissimi anni di vita dopo essere venuta alla luce in un carcere dove sua madre fu imprigionata per motivi politici. Born in Evin è quindi un’immersione a ritroso, da un presente lavorativo nel mondo della recitazione che offre poche soddisfazioni (la Zaree si lamenta di dover interpretare personaggi infarciti di cliché e stereotipi razziali, come una musulmana col velo arrivata col barcone, immagine tutt’altro che realistica per motivi pratici) fino a una rievocazione dei primi vagiti, i mesi trascorsi nel ventre materno. La decisione radicale che la regista prende è quella di smettere di raccontare storie altrui e di svelare, al pubblico e a se stessa, la propria.

Born in Evin Berlinale movie review

Nata all’interno di una cella in Iran e cresciuta libera in Germania, Maryam Zaree trova conforto nel parlare col prossimo, nell’ascoltare persone che hanno condiviso un’esperienza simile alla sua, e preferisce quindi sentire quel che gli altri hanno da dire. Il dolore si manifesta in tutto un gran lacrimare, ma senza che nessuno pianga mai a dirotto. Quei vuoti nella memoria che generano angoscia, tanto in lei quanto nelle altre donne con cui si rapporta (nota a parte, Born in Evin è un ottimo esempio di celebrazione del mondo femminile che, nonostante le asperità, riesce ad avere successo e a fare carriera), sono stati riempiti da altro, dando origine ad abitudini tossiche e comportamenti dannosi per la psiche.

Born in Evin ha la valenza dell’opera catartica, qualcosa che possa servire più di sedute psicanalitiche infruttuose, il cui scopo è quello di dare una risposta a domande taciute per troppi anni e di liberare Maryam Zaree di quel fardello portatasi appresso da quando ha cominciato a farsi strada nella sua coscienza la necessità di sapere cos’è successo durante la detenzione. Lei dentro il grembo di sua madre e sua madre chiusa all’interno di una prigione. Quell’esperienza cos’ha comportato? Come sta influendo nella sua vita adulta ora che riaffiorano sensazioni difficili da classificare? Perché, soprattutto, voler realizzare un documentario su se stessa? È l’unica via per entrare definitivamente nella vita adulta, di accettare chi si è per poi abbracciare il futuro. Un film toccante e assolutamente degno di nota.

Simone Tarditi