Vice, tutti gli uomini di Dick Cheney

Vice, tutti gli uomini di Dick Cheney

February 28, 2019 0 By Gabriele Barducci

Per Adam McKay, La Grande Scommessa è stato un ottimo banco di prova per testare il suo valore narrativo all’interno del circuito hollywoodiano: ad oggi, nessuno come lui riesce a veicolare tanti e diversi messaggi con un ritmo narrativo invidiabile, più unico che raro, senza mai annoiare lo spettatore e anzi, stimolando continuamente un messaggio che viene veicolato a bocconi, senza perdersi nulla per strada e attendere tutti assieme il finale per il quadro completo.

La storia di Dick Cheney non è quella di un arrogante approfittatore, anzi, egli non è altro che lo specchio della speculazione nazionale della moglie che lo plasma secondo le esigenze del paese. Una relazione quasi macabra, tanto da utilizzare a proprio vantaggio la situazione della loro figlia gay, tutto per il potere, perché la politica è come il settore immobiliare: la posizione denota potere, il potere denota controllo e benessere.

Non a caso nella sua lunga carriera, il picco Cheney lo raggiungerà durante la presidenza di Bush figlio, ormai riconosciuto come uno dei peggiori Presidenti mai avuti negli Stati Uniti, rappresentato come un fessacchiotto, messo lì da una forza politica sicura di prendere voti, ma senza nessuno davvero in grado di fare realmente il Presidente a 360°. Accettando la carica di Vice Presidente e adagiandosi nella semplice legge che qualunque cosa venga varata dal Presidente, si deve eseguire, Cheney seguirà uno dei periodi più caldi degli Stati Uniti, dall’11 settembre alla relativa controffensiva nel trovare un nemico da dare in pasto all’opinione pubblica.

vice recensione

McKay ha la sua forma stilistica che va a ricercarsi nella commedia: con momenti freddi, taglienti, quasi al limite del cinismo, il regista dipinge un quadro fatto di marionette, di momenti che vivono all’interno di simil sketch di qualche minuto, tutti montati tra di loro con gran ritmo e gusto visivo.

Ancor più della moglie dal pugno di ferro, Cheney sembra essersi modellato quasi sul filo della sopravvivenza, plasmandosi in virtù della cultura politica degli anni della giovinezza e della vecchiaia. Vice diviene quindi, più che un biopic, una vera e propria satira, rappresentata con un ottimo Christian Bale anche quando nel finale si lascia andare ad un lungo monologo parlando proprio a noi: no, non cercate motivazioni o simili, Cheney non si è pentito di nulla, ed è proprio questa la miglior commedia, quando si prendono atti riconosciuti come tragici e trasformarli in una sequela di ambienti e persone fuori di testa. Il destino del Paese in mano a persone fuori dagli schemi, quasi stesse recitando una commedia teatrale.

Gabriele Barducci
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