
Bernadette di Henry King, la visione creatrice
June 8, 2019Tutti conoscono Lourdes, anche se non ci sono mai andati. Luogo di miracoli e di pellegrinaggi, meta per ferventi cattolici e turisti curiosi. In piena seconda guerra mondiale (il 1943), la 20th Century Fox decide di realizzare un film sulla vita di Bernadette Soubirous, colei che nel 1858 aveva visto apparire la Madonna in una grotta, dando il via a un fenomeno d’interesse mondiale. La regia viene affidata a uno dei figli prediletti della casa di produzione hollywoodiana, Henry King, che lavorava alla Fox ancor prima della fusione con la Twentieth Century Pictures.
Storicamente accurata quanto una pellicola americana può essere, Bernadette ha il suo punto di forza più grande non tanto nelle manifestazioni mariane cui la sola ragazza sembra avere accesso, quanto soprattutto nelle reazioni delle persone attorno a lei e, poi, di tutta la Francia e l’Europa. Ai tempi, Lourdes non è altro che è un paese perlopiù di gente umile e ignorante, culturalmente più vicino al Medioevo che alla Belle Époque, pertanto il contesto è dominato da credenze popolari (la paura del Diavolo è tale per cui si teme di finire all’Inferno anche solo per aver pronunciato una parola sbagliata) che i potenti del luogo usano a loro vantaggio per ammansire i poveri.
È qui che il film di King funziona meglio, nel raccontare come l’opinione pubblica muti totalmente di anno in anno, man mano che la giovane viene creduta dagli altri fedeli. Si assiste così a una prima parte della vicenda con Bernadette che viene accusata di fanatismo, giudicata, etichettata come una pazza (la sua psiche e abilità mentali, decenni prima di Freud & Co., viene rudimentalmente studiata e testata), poi segue immediatamente una sezione in cui ella è reputata pericolosa, una minaccia al potere patriarcale. Un’anima pura, trattata con indelicatezza, umiliata, paragonata a un maiale, sbeffeggiata. Le viene persino chiesto di far esaudire miracoli per verificare quanto siano vere le cose che dice e, nell’atto di far comparire una sorgente d’acqua miracolosa dal terreno (una scena che Ingmar Bergman sembra aver ricordato per La fontana della vergine, sebbene di tutt’altro tema), la sua posizione cambia e con essa anche il futuro di quella località. Contemporaneamente, inizia un business non da poco.
Al di là della perfezione formale raggiunta da King assieme ai suoi collaboratori, quel che di Bernadette ha resistito perfettamente alla prova del tempo è ciò che si cela sotto alla storia religiosa descritta, ossia il ritratto di una donna che lotta per un’emancipazione che è, sì, “guidata dall’alto”, ma che pur sempre di liberazione da una condizione iniziale si tratta. L’epilogo, all’interno del convento, è quasi una negazione del traguardo raggiunto e il regista sottolinea apertamente quanto la ragazza da libera diventi una postulante rinchiusa in una sorta di prigione.
Nota cerimoniosa: Bernadette viene candidato a ben dodici premi Oscar, tra cui Miglior Film e Miglior Regia, e finisce con l’aggiudicarsene quattro (compresa quello per la Migliore Attrice Protagonista, Jennifer Jones). Il favorito Henry King, che qualche settimana prima ha vinto il Golden Globe, viene superato da Michael Curtiz e il suo Casablanca.
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