
Il Cinema Ritrovato 2019: Obaltan, il dramma sud-coreano nel dopoguerra
June 27, 2019Nella retrospettiva che la XXXIII edizione del Festival del Cinema Ritrovato dedica al cinema sud-coreano del secondo dopoguerra, troviamo anche Obaltan (Aimless Bullet) del regista Yu Hyun-mok. Il film del 1961, basato sul racconto omonimo di Yi Beomseon, mette in scena le conseguenze della guerra di Corea (1950-53) sulla popolazione, focalizzandosi sulla storia di due fratelli. Il primo, Young-ho (Choi Moo-ryong) è reduce di guerra e nonostante siano passati un paio d’anni dal concedo è ancora disoccupato; il secondo, Cheol-ho (Kim Jin-gyu protagonista in Hanyeo – The Housemaid di Kim Ki-young ) è contabile presso una ditta ed è l’unico a portare a casa lo stipendio necessario appena a sfamare la famiglia numerosa.
Le vicende dei due protagonisti maschili procedono in parallelo, in un montaggio alternato che ci mostra il dramma del re-inserimento dei soldati nella società (di Young-ho) e la sopportazione del dolore fisico (il mal di denti di Cheol-ho). I piani alternati condividono il leit-motiv legato alla difficoltà di adattamento, di dover ripartire: entrambi i protagonisti assumono il ruolo di portavoce della frustrazione di una società che fatica ad alzarsi e a ritrovare l’identità nazionale. La ripresa è ancora lontana e i passi intrapresi dai personaggi sono incerti, claudicanti (come quelli dell’amico di Young-ho) tutti appaiono scissi a metà tra la sopravvivenza quotidiana e la voglia di riscattarsi. La doppia narrazione converge nella scena del litigio fraterno, facendo emergere dallo scontro verbale, il differente punto di vista e modo di affrontare la realtà dei due uomini. Cheol-ho, sebbene la sera dopo il lavoro, ritorni alla baraccopoli a testa bassa, cerca in tutti i modi di mantenere una certa dignità, di salvare le apparenze. Ciò emerge soprattutto quando si reca dal commissariato per prendere la sorella, fermata dopo essere stata trovata nel quartiere di piacere. La rottura e il senso di lontananza tra lei e il fratello maggiore vengono espressi a livello visivo tramite la profondità di campo (in cui vediamo la giovane entrare nella stanza e rimanere sfuocata sullo sfondo) e il silenzio dell’uomo, mentre entrambi continuano a camminare sui lati opposti della strada.
Il realismo di Obaltan è evidente nelle sequenze in famiglia: dalla condivisione di un pasto frugale ai sacrifici a cui tutti i membri sono sottoposti. Inoltre, la coralità della pellicola dà voce al dramma sociale, al cui interno è contenuto quello individuale: ogni personaggio è vittima della situazione e sopporta come può il proprio dramma, dal figlio di Cheol-ho che vende giornali (invece di andare a scuola) alla sorella Myeong-sook che si prostituisce con i soldati americani, passando per la moglie che avrà complicazioni di parto alle urla-monito “Andiamo via da qui!” dell’anziana madre, malata di mente. In esterno la povertà della nazione stride con la presenza dei modelli occidentali (la processione cattolica, l’occupazione americana, il capitalismo e i media) ma il regista Yu Hyun-mok non imprime nè una personale visione politica, né un intento moralistico: lascia che le vicende degli ultimi si esprimano da sé, risaltate da una rigorosa fotografia in bianco e nero (di Kim Hak-seong).
Una parentesi narrativa è quella sentimentale vissuta da Young-ho e che si apre quando ritrova Seol-hui, l’infermiera che l’aveva curato dopo la guerra e di cui si era innamorato. L’incontro avviene lungo la ferrovia: i due si riconoscono da lontano ma separati dai binari, dovranno aspettare il passaggio del treno per avvicinarsi. Dalla breve frequentazione, notiamo alcuni elementi (l’appartamento all’ultimo piano del condominio, il lavoro part-time, gli studi universitari) che ci mostrano come il personaggio di Seol-hui sia l’unico ad essersi inserito nella società; al contrario di Young-ho che rifiuta l’offerta ricevuta agli studi cinematografici, di interpretare il ruolo di un soldato virtuoso. La sequenza, chiusa con l’omicidio della giovane per mano di un amante geloso, tronca sia l’inizio di una possibile storia d’amore sia la speranza di chi, come Seol-hui, ha iniziato a costruirsi un futuro con la propria forza di volontà.
La stessa immagine filmica ostacola i personaggi, spesso ripresi dietro travi, scale e muri; non mancano inoltre momenti di cesura narrativa, le cui ellissi vengono ricostruite dal racconto di altri personaggi (l’omicidio di Seol-hui, la morte per parto della moglie). In Obaltan tutto è frammento, dai vetri delle finestre alle tazze rotte dai personaggi, un insieme di pezzi sparsi che alludono a ciò che sono diventati: delle pallottole vaganti, privi di meta. I due fratelli girano infatti senza obiettivi, completamente de-vitalizzati. Sebbene entrambi vogliano cambiare la propria situazione, scelgono di fatto, di non agire; il diverbio tra i due però, produce una svolta che li porta a una nuova separazione: Young-ho, cedendo ai suoi istinti, va contro la legge e rapina una banca. La sequenza dell’inseguimento, l’unica in Obaltan ad avere un ritmo dinamico, fa precipitare lo sviluppo degli eventi in un mondo originario: è nei bassifondi che l’uomo fugge (dagli interni dei sotterranei dell’edificio agli esterni della zona industriale all’aperto). L’ambiente è indistinto (dai fumi della fabbrica al fango e immondizia) come l’azione del personaggio che vi sprofonda.
Interessante notare come l’informe si ri-collochi anche all’interno della natura ibrida del film stesso, Obaltan è infatti frutto di contaminazioni di più generi: dal neorealismo italiano (il vagare senza meta) ai gangster-movie (la pistola, la rapina, l’inseguimento) passando per il melodramma (gli amori difficili dei protagonisti, l’utilizzo di violini extra-diegetici per i momenti di maggior pathos). Il titolo della pellicola allude ai protagonisti che, come pallottole vaganti, danno origine ad azioni destinate a non produrre gli esiti sperati, a degenerarsi: il fratello minore dopo aver sparato dei colpi a vuoto, viene catturato e processato; il maggiore, dopo l’estrazione dei due denti del giudizio ha un’emorragia e inizia a spostarsi spaesato per la città (sia a piedi che in taxi). Il non-agire ritorna, avvolgendo i personaggi in un movimento circolare: le immagini del traffico e delle insegne luminose dominano la scena finale come quella iniziale del film, entrambe accompagnate dai rumori della città di notte, mentre Cheol-ho, come il protagonista di Ladri di biciclette, è senza direzione.
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