
Morte e rivoluzione di R. W. Fassbinder
July 31, 2019Sdraiato sul suo letto, il mozzicone di una sigaretta tra le dita, un rivolo di sangue da una narice e il viso beato. È così che muore Rainer Werner Fassbinder nella notte tra il 9 e il 10 giugno 1982, con il copione per un film su Rosa Luxemburg al fianco e la tv accesa. Si dice esali il suo ultimo respiro mentre sta guardando 20.000 anni a Sing Sing, prison movie del 1932 con Spencer Tracy e Bette Davis diretto da Michael Curtiz. È la fidanzata Juliane Lorenz a scoprire il cadavere. Causa della morte? Il referto medico parla di un mix di cocaina e barbiturici, ciò di cui il regista tedesco si serve ormai da tempo per mantenere quei ritmi produttivi che in tredici anni l’hanno visto realizzare oltre quaranta progetti tra film, documentari e serie televisive.
Meno di quattro mesi prima, durante la 32ma edizione della Berlinale, Fassbinder vince l’Orso d’oro per Veronika Voss, il riconoscimento più grande che gli sia stato tributato da vivo. Più di un decennio prima, nel 1969, sempre al festival di Berlino il suo primo lungometraggio (L’amore è più freddo della morte) riceve soprattutto critiche negative e, quando sale sul palco alla fine della proiezione ufficiale, il regista viene fischiato dal pubblico. Mala tempora currunt sed maiora parantur. Gli sberleffi nei confronti del suo esordio in una competizione di quel calibro si tramutano in devozione nel 1982 e in tributi ed eventi speciali dopo il suo decesso tra cui la maratona alla Berlinale67 delle cinque puntate di Otto ore non sono un giorno, mini serie tv trasmessa in Germania nel 1972-73 e poi sparita dalla circolazione.
La rivoluzione di Fassbinder è talmente dirompente da non essere ai tempi capita nella sua totalità, non tanto per la qualità dei suoi film che ben prima dell’Orso d’oro vengono apprezzati e circolano un po’ ovunque, quanto piuttosto per l’ineguagliata dedizione al fare cinema. Quel tipo di prolificità ha un prezzo da pagare ed è il logorio. Fassbinder consuma il suo corpo finendo col distruggerlo nell’arco di breve tempo, ma non è mai energia dissipata. Tutte le sue pellicole, anche le meno riuscite, hanno un fascino indiscutibile e riescono a slegarsi dal contesto storico in cui vengono fatte perché il regista è un così grande conoscitore del suo paese da poter mescolare elementi di epoche diverse. Il decadimento post-bellico è una condizione esistenziale e politico-culturale che Fassbinder via via applica ai suoi melodrammi che si fanno più sfaccettati e radicati in quella nazione tormentata, divisa e sostanzialmente infelice.
Il pensiero e lo sguardo mentale si spostano dal corpo morto del regista verso quella sceneggiatura (a detta di molti pressoché completa), lì di lato, per il film mai realizzato sulla Luxemburg (qualche anno più tardi, la collega Margarethe von Trotta farà uscire Rosa L., è il 1986). Mai realizzato per il decesso improvviso di chi doveva girarlo, non per abbandono. Non un progetto abortito, bensì uno in divenire e interrotto sul nascere. Colpa di nessuno se non del suo sregolato autore. Quella pellicola si sarebbe incastonata perfettamente all’interno della lista infinita di opere che invece Fassbinder è riuscito a mettere insieme, prendendosi letteralmente gioco del tempo e dimostrando quanto si possa fare e produrre se solo lo si vuole, imparando in primis a sacrificarsi in nome di quel che si ama, che si desidera raggiungere.
A cent’anni dalla scomparsa della rivoluzionaria rapita e ammazzata nel 1919, viene facile chiedersi quanto probabilmente sarebbe più attuale oggi ritornare su quella vicenda storica. Il clima d’incertezze manifesta similarità col presente da far paura. Se R. W. Fassbinder avesse dato forma filmica alla sua Rosa Luxemburg, ne sarebbe uscito fuori un altro grande ritratto femminile, questo è sicuro.
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