Venezia76: Il sangue freddo di Ad Astra

Venezia76: Il sangue freddo di Ad Astra

August 29, 2019 0 By Simone Tarditi

Roy McBride (Brad Pitt) ha sempre voluto fare l’astronauta, ma più per seguire le orme paterne che per una vocazione personale. Ci è riuscito, ed esattamente come suo padre (Tommy Lee Jones) è diventato uno dei migliori al mondo. In virtù della sua capacità di mantenere i nervi saldi e il sangue freddo qualsiasi situazione gli si pari davanti (compreso quando in gioco può esserci la sopravvivenza stessa dell’umanità), a Roy viene proposto di proseguire il lavoro sul Progetto Lima che il suo genitore ha iniziato decenni prima. La missione per conto della SPACECOM (l’equivalente della NASA, evidentemente non è stato concesso di usarne il nome) diventerà per il protagonista l’occasione di affrontare i fantasmi del suo passato.
Ad Astra ha un duplice legame con The Lost City of Z (uscito nelle sale italiane come Civiltà perduta). Il primo è puramente realizzativo: Brad Pitt, co-producer anche di The Lost City of Z, avrebbe dovuto interpretarne il ruolo principale, ma dovette rinunciare alla parte, pertanto Ad Astra rappresenta la riuscita collaborazione (di fronte e dietro alla cinepresa) tra l’attore e il regista James Gray.
L’altro punto di contatto tra gli ultimi due film di Gray è di natura narrativa: entrambi perseguono un’idea basilare, quella della sfida nei confronti dei limiti conoscitivi della scienza (astronomia in Ad Astra, antropologia in The Lost City of Z), a cui di pari passo si aggiunge lo spingersi in territori inesplorati e ostili per l’Uomo, creatura fragile tanto capace di adattarsi quanto di farsi prendere dal panico di fronte ai minimi pericoli.

Ad Astra recensione

Ne deriva, in Ad Astra, un viaggio esplorativo in cui la scoperta di luoghi sconosciuti si traduce in un’elaborazione di traumi, di lutti metaforici e mancanze destabilizzanti, di assenze, di monologhi interiori che hanno il suono di soliloqui esistenziali quasi da finae vitae (qui, il Pitt attore si disintegra a fronte del Pitt genitore-marito, almeno in apparenza). Un lungometraggio più filosofico che fantascientifico, più vicino al Tarkovskij di Solaris e Stalker che al Kubrick di 2001, più focalizzato sul ridurre l’essere umano tecnologicamente evoluto alla sua controparte primitiva e (a tratti) bestiale, inumana, che al celebrarne la superiorità nel regno animale.
Dividerà il pubblico e spaccherà i giudizi dei critici, eppure Ad Astra ha le caratteristiche per durare nel tempo, sempre chiudendo un occhio sugli sgamabilissimi interventi della Disney a riprese (forse) concluse dopo che la Casa di Topolino ha acquisito la 20th Century Fox.
E ciò non grazie al suo essere un film perfetto, cosa che assolutamente non è, ma per il suo indagare dando l’impressione di procedere a tentoni, muovendosi nel nulla cosmico al di là del cielo e dell’anima di alcuni.

Simone Tarditi