
Venezia76: Intervista al regista Costa-Gavras
September 16, 2019Ottantasei anni e un nuovo film. La presenza di Costa-Gavras alla 76ma Mostra del Cinema di Venezia ha un duplice valore: uno legato al passato, con il conferimento del premio Jaeger-LeCoultre alla carriera, l’altro aderente al presente visto che al festival è stato presentato in anteprima mondiale il suo ultimo lavoro, Adults in the Room, di cui forse non si è parlato abbastanza.
Costa-Gavras ritorna a parlare della Grecia, patria d’origine, in Adults in the Room, una cronistoria sulle difficoltà incontrate dal governo di Tsipras nel combattere ad armi impari con i più forti stati europei la ridiscussione di un debito pesante come un macigno e mai estinguibile.
La chiacchierata che abbiamo avuto col regista non poteva che vertere soprattutto sul film in questione, con la speranza di vederlo distribuito nelle sale italiane. È stata però anche l’occasione di andare oltre alle vicende ricostruite fedelmente e cercare di capire qualcosa di più sull’uomo dietro la macchina da presa, un cineasta tra i più importanti al mondo, per impegno, dedizione, autonomia e forza da oltre mezzo secolo a questa parte.
A cinquant’anni da “Z – L’orgia del potere”, il tuo film più celebrato nonché quello che ti ha fatto conoscere sul piano internazionale, qual è la sfida nel fare cinema oggi?
Il cinema è stato sempre un modo straordinario per comunicare. È una forma d’arte molto giovane, ha poco più di un secolo. Soprattutto ai suoi albori, da qui potevamo vedere come vivevano per esempio i giapponesi o gli abitanti del Sud Africa, ed essi potevano vedere come vivevamo noi. Alle primissime proiezioni dei fratelli Lumière c’erano pochi spettatori, ma nell’arco di alcune settimane il pubblico si è ingrandito via via di più ed è diventato un fenomeno globale che dura ancora oggi. Attualmente la cosa più importante, dal mio punto di vista, è che i registi siano liberi di dare forma alla propria visione. Per me fare cinema è una passione, spesso mi hanno proposto di girare dei cosiddetti “film politici” sull’Europa o su qualche famoso assassinio, ma gli ho già fatti nella prima fase della mia carriera da regista e non posso tornare a quegli argomenti. Ho dovuto rifiutare. Realizzare un lungometraggio è un lavoro lunghissimo, per Adults in the Room ci sono voluti quattro o cinque anni e addirittura avevo iniziato a pensare a qualcosa di simile ancora prima. Quindi per me questo è un film molto speciale.
Ci vuole una certa dose di stoicismo per fare questo lavoro …
Oh, sì. Molta pazienza.
In “Adults in the Room” hai ritratto Varoufakis sia come un uomo paziente e tenace sia anche come un outsider della scena politica, un individuo che ragiona in maniera diversa rispetto ai suoi colleghi, quasi un pensatore, un filosofo dell’economia. Tu stesso ti definiresti una figura fuori dal coro nel panorama del cinema?
Sì e no. Il punto è che, in quanto regista, devi creare un tuo mondo, qualcosa di unico e personale. Devi vivere questo mestiere senza ripeterti, senza copiare il lavoro altrui o senza voler somigliare a qualcuno. È l’unico modo per sopravvivere in maniera pacifica altrimenti diventa un incubo. Nel caso specifico di Adults in the Room, ho contattato Varoufakis, gli ho detto che il suo libro mi era piaciuto e che volevo acquistarne i diritti, sottolineando però che ne avrei fatto quello che volevo. Sono stato molto chiaro nel dirgli che non avrebbe partecipato alla stesura della sceneggiatura né avrebbe potuto dire nulla in merito ad alcune particolari scene, che mai avrei cambiato o ri-girato per fare piacere a lui. Ha accettato e io l’ho contattato varie volte per chiedergli delucidazioni riguardanti alcuni aspetti finanziari di cui lui parla nel libro e che non avevo capito. Al di là della reale figura di Varoufakis, mi piace anche come personaggio nel film: è autorevole e conosce quel di cui parla.
Durante la lavorazione di un tuo film c’è stato un momento in cui ti sei sentito un po’ come la Grecia, cioè tenuto in sospeso da parte di produttori che avevano idee diverse dalle tue?
Mi viene in mente un episodio legato al mio film del 1982, Missing – Scomparso. Avevo spedito il copione a Jack Lemmon e la sua segretaria, tre giorni dopo, mi ha telefonato dicendomi che lui voleva vedermi. Mai successa una cosa del genere, a volte bisogna aspettare settimane o addirittura mesi per ricevere una risposta da attori di quel calibro. Sono andato a casa sua a Los Angeles, abbiamo bevuto un drink e parlato della parte che avrebbe poi interpretato, ma Jack non aveva intenzione di modellare il suo personaggio insieme a me, quindi ha chiesto soltanto di dirgli soltanto quello che volevo e lui l’avrebbe fatto. Da lì abbiamo stabilito subito un grande rapporto di collaborazione e di amicizia, il problema è stato subito dopo perché la casa di produzione era sicura che il film avrebbe floppato se ci fosse stato Jack Lemmon nel cast dal momento che era un’interprete di commedie. Non è stato semplice convincere tutti i dirigenti, ci sono voluti molti giorni di trattative e discussioni.
Il tuo film racconta anche di come il potere economico diventi uno strumento di forza nelle mani dei ricchi …
Tutta la narrazione gira attorno a questo tema. Per esempio, io non ho voluto raccontare nulla delle vite private degli altri personaggi al di fuori di Varoufakis perché tutto quello che m’interessava era mostrare il loro agire e il risultato delle loro azioni. E tutto ciò deve necessariamente accadere attraverso i loro dialoghi, che nella prima fase di sceneggiatura erano davvero lunghi e che ho dovuto sintetizzare in poche battute incisive.
Uno dei pochi personaggi messi sotto una buona luce è Christine Lagarde, la quale pronuncia la battuta che dà il titolo al film.
È un personaggio forte. Sa benissimo che la Grecia non potrà mai pagare un debito così enorme e allora si mobilita affinché tutti quanti trovino una soluzione concreta a quest’emergenza.
A un certo punto, nel film viene detto che l’Europa sta affrontando una crisi esistenziale, non soltanto economica o politica. Lo pensi anche tu?
Credo che l’Europa, idealmente, sia qualcosa di straordinario a partire dal fatto che i cittadini sono tutti uniti, come se non ci fossero confini tra uno stato e l’altro. O anche per via della stessa moneta. Tu sei troppo giovane e non puoi sapere cosa volesse dire varcare un confine, non era semplice: c’erano tempi di attesa, bisognava avere certi documenti, firme, certificati, specificare il motivo per cui ci si spostava, che lavoro si faceva, quanti soldi si aveva con sé. Ora sembra normalissimo spostarsi di nazione in nazione. È una grande conquista, però dal punto di vista politico gli scenari stanno cambiando e la situazione è sempre peggio. Spero vivamente che le cose migliorino.
(Intervista al regista Costa-Gavras condotta da Simone Tarditi in data 2 settembre 2019 presso il Jaeger-LeCoultre Lounge dell’Hotel Excelsior durante la settantaseiesima Mostra del Cinema di Venezia)
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