Intervista agli autori di “2001 tra Kubrick e Clarke”

Intervista agli autori di “2001 tra Kubrick e Clarke”

October 1, 2019 0 By Simone Tarditi

Simone Odino e Filippo Ulivieri hanno recentemente pubblicato 2001 tra Kubrick & Clarke: Genesi, realizzazione e paternità di un capolavoro, un libro chiave per scoprire come il più grande film di fantascienza sia nato. Anni di lavoro e di ricerche, sia per i due saggisti sia -ai tempi- per i realizzatori di 2001: Odissea nello Spazio. Abbiamo approfittato dell’occasione per addentrarci maggiormente nella questione. In che modo? Con un’intervista ai due autori.

Il vostro libro comincia con un interrogativo che Stanley Kubrick si pose nel 1964: Come superare il successo di “Stranamore”? A quale progetto dedicare anima e corpo? Possiamo immaginare quindi una certa difficoltà, per il regista, nel trovare un’ossessione che lo accompagnasse per anni.

Simone Odino: È vero che dopo Stranamore Kubrick dedicò alcuni mesi a studiare le diverse opzioni che aveva a disposizione: girare un film sulla sovrappopolazione, che era un problema emergente nella società dell’epoca e che lo preoccupava molto; accettare una proposta di un film per la TV commissionatogli dalle Nazioni Unite; oppure fare un film sulle relazioni atipiche tra uomo e donna, un altro argomento a cui dedicò sempre grande attenzione. Ma è indubbio che, nei primi anni Sessanta, uno dei temi di maggior spicco fosse l’esplorazione dello spazio; da qui l’idea di realizzare il primo film di fantascienza veramente scientifico, il che però comportava la difficile ricerca di un collaboratore adatto allo scopo. Fu solo quando incontrò Clarke che Kubrick si convinse che era arrivata l’occasione giusta, anche se con lo scrittore ci fu una fase iniziale molto più combattuta di quanto solitamente si racconta: fu infatti Clarke che propose di basare il film sul suo racconto La Sentinella, mentre Kubrick si era impuntato su una storia veramente bizzarra! Nel libro raccontiamo proprio questo misterioso progetto ma, a parte la curiosità di certe imprevedibili svolte del percorso preparatorio al film, crediamo che dalla nostra analisi emerga un grado di responsabilità sociale di Kubrick che viene solitamente trascurata nel dibattito attorno alla sua filmografia, e che vi sia anche racchiusa una possibile spiegazione del rapporto conflittuale del regista con il genere fantascienza.

Sul versante opposto, dopo aver finito un’opera complessa come per esempio “2001”, come pensate che Stanley Kubrick si liberasse delle sue ossessioni? Continuava a portarsele dietro anche quando i progetti si potevano definire conclusi e i film usciti nelle sale?

Filippo Ulivieri: Per quanto fosse indispensabile per Kubrick sviluppare un’ossessione per poter fare un film, tutto fa pensare che riuscisse a liberarsene piuttosto rapidamente. Di rado parlava di un suo vecchio film o dei temi a esso collegati, e mi vengono in mente alcuni aneddoti che lo vedono perfino disinteressato ai meriti artistici di un suo film dopo l’uscita in sala, preoccupato solo a questioni tecniche relative ad esempio al procurare una copia in buona qualità per una proiezione. Anzi, per restare su 2001: Odissea nello Spazio, l’ossessione per questo film aveva in effetti allentato la presa già nell’estate del 1967, quando Kubrick doveva ancora girare del tutto “L’Alba dell’Uomo,” la parte iniziale del film. Pur in corso d’opera, la fantascienza aveva già lasciato il campo libero per l’ossessione successiva, quella per Napoleone Bonaparte. Le ossessioni di cui non si è mai liberato sono quelle relative ai film che non è riuscito a fare: appunto il Napoleon, la Guerra di Secessione Americana, la Seconda Guerra Mondiale, l’intelligenza artificiale, l’Olocausto.

Il volume è frutto di lunghe ricerche in archivi e biblioteche. Potete raccontare un po’ di come avete consultato, confrontato, raccolto il materiale che è andato a comporre il saggio e qual è stato il ritrovamento più “magico” che avete compiuto, la scoperta più inaspettata che avete fatto?

Simone: Indubbiamente la recente apertura della Clarke Collection of Sri Lanka, l’archivio che raccoglie i materiali che lo scrittore ha raccolto in mezzo secolo di residenza nell’isola dell’Oceano Indiano, è stata un’occasione straordinaria per ascoltare “l’altra campana” della storia di 2001. Grazie a quei materiali abbiamo portato alla luce aspetti finora totalmente ignorati nel percorso di creazione del film. Il fatto che l’archivio sia custodito presso l’Air & Space Museum dello Smithsonian in Virginia è stata anche una bella scusa per vedere alcuni degli aerei e navicelle spaziali più famosi della storia: tra tutti la capsula dell’Apollo 11 e lo Shuttle Discovery (mai nome fu più adatto!). Ma al di là del wow factor dell’ambientazione, i materiali che mi hanno entusiasmato – e che presentiamo nel libro in prima mondiale – sono le prime bozze della stesura di 2001 (ci sono delle grosse sorprese) e il coinvolgimento (totalmente fallimentare) di Clarke nel secondo progetto di fantascienza di Kubrick: A.I. Artificial Intelligence, film che poi verrà girato da Spielberg.

Filippo: Una seconda parte di ricerche è stata svolta al Kubrick Archive di Londra, dove ormai siamo due habitué. Ulteriore materiale è arrivato dalla consultazione di vecchi numeri delle riviste del settore come Variety, che seguì la produzione di 2001 con diversi reportage dal set. Quello che mi ha sorpreso, e che in effetti capita sempre nei miei studi kubrickiani, è che mettendo insieme i pezzetti di conoscenza sparpagliata tra libri, articoli d’epoca, documentari e interviste si ottiene un quadro che è molto superiore alla somma delle singole parti. La differenza è davvero quella tra maneggiare i pezzetti sconnessi di un puzzle e guardare alla fine il disegno ricomposto. Ad esempio, solo incastrando in un racconto cronologico tutti gli eventi relativi alla lavorazione di 2001 è emersa la ricchezza dei contributi di tutti i collaboratori di Kubrick e soprattutto la sbalorditiva grandezza dell’impresa che riuscì a portare a termine.

Simone Odino Kubrick Clarke

Simone Odino

Durante i loro primi incontri, Stanley Kubrick e Clarke visionarono alcune pellicole di fantascienza per farsi un’idea di cosa stava venendo prodotto ai tempi. Si sa dove avvennero queste proiezioni e quali titoli ebbero modo di guardare?

Simone: Leggenda vuole che Kubrick abbia visto tutti i film di fantascienza mai prodotti fino a quel momento. Ora, è chiaro che non possiamo davvero sapere se è andata così, ma abbiamo alcune indicazioni interessanti dell’attenzione del regista verso la fantascienza. Il critico cinematografico Alexander Walker ha raccontato per esempio che, durante una visita nell’appartamento newyorkese del regista, vide un pulmino scaricare diverse bobine di pellicole; i titoli sulle scatole erano in giapponese, ma il critico intravide anche alcune parole inglesi come Giove, Saturno, Nettuno, Luna. Walker chiese a Kubrick, “Stai per fare un film ambientato nello spazio?” Il regista si girò e mettendo l’indice sulle labbra rispose: “Alex, stai attento a quello che scrivi.” È una storia che suggerisce come Kubrick fosse tanto prudente nel dichiararsi interessato a un genere che all’epoca veniva ancora considerato come di serie B, quanto attento a qualunque novità nel settore.

C’è un forse debole, apparentemente lontanissimo, seppur rintracciabile, legame tra “2001” e il genere western, ed è l’idea del varcare i confini per spingersi in territori inesplorati, non mappati. Qualcosa di profondamente radicato nell’epica, come quella americana (i pionieri, la Frontiera). Come working title per il loro film, Kubrick e Clarke optano per “How The Solar System Was Won”, che ricorda ovviamente un famoso western in Cinerama del ’62 realizzato da più registi (“How The West Was Won”). Altrove, leggiamo stralci di un’intervista in cui SK dice che “i politici dovrebbero leggere la fantascienza, non western o storie poliziesche” e lui stesso qualche anno prima aveva rinunciato a girare un western, “One-Eyed Jacks” (uscita in Italia come “I due volti della vendetta”). Si ha altrove traccia di un interesse di Kubrick per il Western e come spieghereste la sua fascinazione per tutti i generi del cinema dal momento che nella sua carriera ha realizzato film diversissimi sotto questo punto di vista (in costume, di guerra, noir, etc)?

Filippo: Marlon Brando, rimasto colpito dalla maestria di Rapina a Mano Armata, convocò Kubrick e gli offrì la regia del suo progetto I Due Volti della Vendetta, un film western a cui il Nostro lavorò per diversi mesi, riscrivendo la sceneggiatura e dirigendo la pre-produzione. Kubrick e Brando però non andarono minimamente d’accordo e l’occasione per Kubrick di girare un western sfumò. Va tuttavia detto che l’osservazione secondo cui Kubrick abbia spaziato in tutti i generi e non si sia mai ripetuto è solo superficialmente vera: se si prendono in considerazione tutti i progetti che ha tentato di realizzare nella sua carriera, si scopre che appartengono tutti quanti al genere bellico, al dramma sentimental-sessuale, al film giallo / noir, o alle storie di fantascienza. La ristrettezza del campo di interessi di Kubrick diventa ancor più evidente se si considerano i temi principali delle opere che aveva selezionato: la violenza maschile, spesso istituzionalizzata e con una forte enfasi sulla violenza ai danni delle donne, e le relazioni eterosessuali disfunzionali. Non c’è un solo film tra gli oltre 50 progetti su cui ha lavorato che non abbia uno di questi due elementi. Ecco, ho appena lanciato il mio prossimo lavoro: un capitolo che ho scritto con Peter Krämer sui progetti irrealizzati di Kubrick e le sue preoccupazioni artistiche, che uscirà l’anno prossimo in un Kubrick Companion per la casa editrice Bloomsbury.

“2001” è invecchiato benissimo e ha resistito indenne alla prova del tempo grazie alle tecniche complicatissime e molto costose con cui è stato creato. Tecniche, in certi casi, prese in prestito direttamente dagli albori del cinema e dall’epoca del muto: sovrimpressioni, esposizioni multiple, proiezioni frontali invece che retroproiezioni, l’uso di sagome, modellini e via dicendo. Essendo Stanley Kubrick nato nel 1928, anno in cui bene o male tutte le case di produzione cominciano a convertire le proprie produzione da mute a sonore, come ha fatto secondo voi ad attingere da quel modo di fare cinema senza aver vissuto da spettatore o professionista il periodo pre-sonoro?

Filippo: Non è divertente che, nel suo film più avanzato tecnologicamente, Kubrick abbia preso ispirazione dai vecchi film del cinema muto? Nonostante il centro nevralgico del cinema americano fosse naturalmente Los Angeles, Kubrick, da newyorkese, ha potuto beneficiare dei vantaggi della capitale culturale degli Stati Uniti. Lui stesso ha ammesso di aver passato l’adolescenza spostandosi da una sala cinematografica all’altra e frequentando assiduamente le rassegne di vecchi film al MOMA. È qui che ha imparato la grammatica cinematografica, proprio dai film muti. La maggior parte dei film, diceva Kubrick, non sono che drammi teatrali con un pizzico d’azione e atmosfera in più. Invece, la struttura dei film muti permette un racconto molto più flessibile, economico, originale, incentrato sul montaggio e non appesantito dai dialoghi. Questa economia di linguaggio, questa predominanza visiva, è massimamente all’opera in 2001: Odissea nello Spazio, forse il film dove Kubrick è riuscito più di tutti ad avvicinarsi a una purezza di linguaggio degna dei capolavori del muto.

Kubrick 2001 Odino Ulivieri LIbro

Mentre 2001 inizia a prendere forma, Kubrick e Clarke ovviamente stanno già seguendo le fasi del progetto Gemini e Apollo che porteranno all’allunaggio del 1969 (il recente film di Damien Chazelle, “First Man”, ne riassume le fasi più salienti). Esiste un carteggio sulle loro impressioni riguardo alle missioni della NASA?

Simone: La maggior parte dei rapporti con la NASA sono stati tenuti da Frederick Ordway, consulente scientifico di 2001, che aveva lavorato per l’ente spaziale americano e che quindi era nella posizione giusta per coordinare le ricerche presso i centri spaziali in cui si stavano realizzando le capsule Gemini e Apollo e il modulo lunare. La sensazione è però che a metà degli anni ’60 la NASA fosse restia ad associare in modo esplicito le proprie attività e il suo staff a una produzione hollywoodiana. Questa politica cambiò in seguito, ma rimane in qualche modo riflessa in 2001 nella totale assenza di riferimenti all’ente spaziale, nonostante Wernher von Braun, una delle figure principali del progetto Apollo, fosse molto amico di Clarke e il direttore del team in cui avevano lavorato i consulenti chiave del film. L’attenzione di Clarke agli eventi principali dell’era spaziale emerge chiaramente dalle sue lettere agli amici; peraltro nel 1968 avrebbe dovuto prender parte a un documentario cinematografico co-prodotto dalla NASA – che però finì nel nulla, con suo grande disappunto. Di Kubrick invece sappiamo molto poco al riguardo: senza dubbio avrà seguito con attenzione gli avvenimenti della corsa allo spazio, ma nei documenti degli archivi, che riguardano principalmente la produzione del film, non ci sono particolari commenti a proposito.

La storia del cinema presenta alcuni registi indomabili che hanno sforato i budget e, a fronte anche di un insuccesso al botteghino, per questo sono stati puniti nel proseguo delle loro carriere. Griffith, Stroheim, Cimino e altri. Effettivamente, quanto ha rischiato Kubrick col suo “2001” ? Se si fosse rilevato un flop nelle sale, al di là del risultato raggiunto sul piano produttivo, pensate che la sua carriera sarebbe stata frenata, interrotta?

Filippo: È difficile credere, ora che 2001 è universalmente riconosciuto come una delle pietre miliari della storia del cinema, quanto rischiosa fosse stata l’impresa di Kubrick, quanto alta fosse la posta in gioco. Per la MGM si trattava di un rischio finanziario enorme, tanto che neppure il successo di botteghino del film ne riuscì a scongiurare la crisi. E Kubrick, come artista e produttore, si stava davvero giocando la carriera. Resta celebre il commento alla fine della prima proiezione di prova del film: “Beh, ecco arrivata la fine di Stanley Kubrick“. Quindi 2001 è stato il suo banco di prova: dopo i successi di Lolita e Stranamore, film controversi e di successo contro le aspettative, l’industria lo aspettava al varco. Non saprei dire cosa sarebbe successo se 2001 fosse stato un flop, ma di certo Kubrick è diventato Kubrick anche grazie a questo successo artistico e commerciale.

Talento a parte, pensate che ci sia state anche un briciolo di fortuna nell’uscire nelle sale in un momento storico come quello del ’68 ?

Simone: L’associazione con il Sessantotto e agli eventi sociali che hanno caratterizzato quell’anno ha causato un collegamento permanente di 2001 con la cosiddetta controcultura, il che ha finito per orientare un certo tipo di critica per decenni. Io credo che alcune di queste associazioni siano piuttosto forzate, per esempio quelle che insistono nel collegare 2001 alla cultura lisergica in auge all’epoca. Resta peraltro solo una coincidenza legata alle inaspettate difficoltà di lavorazione e al proverbiale perfezionismo kubrickiano che la data di uscita del film sia slittata fino all’aprile del 1968. In realtà credo che 2001 sia la prova principale della straordinaria abilità di Kubrick di catturare lo zeitgeist, soprattutto nel periodo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 – un obbiettivo quasi programmatico che il regista aveva già esplicitato nel 1960: “So che vorrei fare un film che dia il senso dello spirito dei tempi, psicologicamente, sessualmente, politicamente, personalmente“. Le ricerche più recenti che hanno fatto uso degli archivi dimostrano come questa attenzione fosse legata inevitabilmente anche al lato commerciale dei suoi film; realizzare film sui temi più sentiti dalla società e seguire (o anticipare) i trend di Hollywood aumentava le possibilità di successo al botteghino, cosa che Kubrick non poteva certo ignorare.

Filippo Ulivieri Kubrick Clarke Libro

Filippo Ulivieri

Su Stanley Kubrick è stato scritto di tutto, ma una delle definizioni più calzanti forse l’ha lasciata proprio Clarke: “Stanley è molto sensibile, solo che la sua integrità artistica non gli consente il compromesso”. Cosa ne pensate?

Filippo: È una definizione deliziosa – fintanto che uno non si trova nei panni di Clarke. Si possono dire tante cose su Clarke, dal suo smisurato ego alla sua fantasia non proprio, come dire, fertilissima – e in effetti nel libro ci siamo un po’ divertiti alle sue spalle – ma va anche detto che lo scrittore ha avuto la pazienza e l’umiltà di comprendere che, nella fase di invenzione della trama, Kubrick non stava facendo i capricci. La sua inflessibilità era dettata solo dalla ricerca di una storia solida, interamente plausibile e al contempo misteriosa, che funzionasse come una rilettura futuribile dei miti classici. Poi, la rigidità con cui ha affrontato le revisioni del romanzo di Clarke è stata probabilmente dettata da motivi molto meno nobili. Si pensa sempre a Kubrick come al massimo esempio cinematografico di artista puro; in realtà era anche un abilissimo uomo d’affari.

Il film segna una spaccatura generazionale in due sensi: nel pubblico e nelle persone che hanno contribuito alla realizzazione del film. La maggior parte degli spettatori, ai tempi, fu costituita da giovani e, a sua volta, da giovani era costituito il team principale di tecnici attorno a Stanley Kubrick. Il vostro libro si sofferma molto su questo aspetto che, retrospettivamente, risulta essere stato fondamentale per il successo della pellicola. Potreste fornire un commento a riguardo?

Simone: Che 2001 sia stato “salvato dai giovani” è in larga parte un mito. Restringendo l’attenzione agli USA, un’attenta analisi delle recensioni d’epoca e dei dati del botteghino dimostra che il film è stato un successo immediato presso la stragrande maggioranza dei critici (a parte un ristretto ma influente gruppetto di provenienza newyorkese) e in una larga fetta di pubblico, soprattutto nei segmenti dei giovani ma anche sorprendentemente delle famiglie. Ci è sembrato invece molto più interessante esplorare come l’età abbia giocato un ruolo importante nella qualità dell’esperienza dei collaboratori di Kubrick. I veterani dell’industria cinematografica mal sopportavano gli eccessi del regista – Wally Gentleman sintetizzò questa posizione con la frase “Nessuno lavora con Kubrick; si lavora per lui, al punto da diventare una mera estensione della sua volontà“. Al contrario, i più giovani non hanno avuto nulla da ridire, e più scende l’età dei collaboratori e più le lodi per Kubrick aumentano. È diventato evidente come per i giovani l’incoraggiamento del regista all’esplorazione continua fosse il metodo perfetto per far emergere le proprie qualità, che magari neppure sospettavano di avere. La qualità di 2001 è nata anche grazie all’indubbia capacità di Kubrick di estrarre, con metodi diversi, il meglio dall’esperienza dei veterani e il meglio dall’entusiasmo della gioventù.

Il vostro libro rinuncia, e questo è un suo valore aggiunto, a ogni teorizzazione sui significati di 2001, materia su cui si sono cimentati schiere di studiosi. Se da un lato il vostro testo diventa automaticamente uno di quelli di riferimento per tutto ciò che concerne la genesi del film, perché così tanti hanno provato prima di voi a cercare di fornire risposte su quel che Kubrick avrebbe voluto dire col suo film invece che concentrarsi sul come sia arrivato a creare un film così straordinario?

Filippo: Perché è più facile! Per scrivere una recensione o un’interpretazione critica o, per dirla con gli accademici, un’analisi testuale, serve solo avere delle idee. Al contrario, per scrivere un libro come il nostro occorre visitare archivi, confrontare le fonti, leggere dozzine di libri e riviste, sbobinare ore e ore di documentari, andare a caccia di tutte le interviste di ogni persona che ha lavorato al film e infine trovare il modo di raccontare tutto questo appianando discrepanze e contraddizioni, e soprattutto senza risultare noiosi. Senza esagerare, ogni riga del nostro libro condensa una dozzina di fonti, ma guai se lo desse a vedere.

(Intervista ai due autori di “2001 tra Kubrick & Clarke” a cura di Simone Tarditi)

2001 tra Kubrick e Clarke recensione libro

Simone Tarditi