
Fuori Orario: perdersi nel ventre notturno di SoHo
October 7, 2019Fuori orario (After Hours, 1985) di Martin Scorsese è una tragi-commedia grottesca che mette in scena le dis-avventure rocambolesche del protagonista nell’arco di una notte, nel quartiere di SoHo a New York. Tutto ha inizio quando Paul Hackett (Griffin Dunne) stacca da lavoro (è programmatore di computer) e si reca da solo in un cafè per cenare e leggere. Il romanzo Tropico del cancro di Henry Miller diventa il pretesto di una ragazza per iniziare la conversazione con lui. Con la speranza di dare una svolta alla serata, Paul richiama il numero lasciato dalla ragazza, Marcy Franklin (Rosanna Arquette) ma quello che credeva un rendez-vous si trasforma presto in una serie di incontri e situazioni che gli impediranno il ritorno a casa.
Paul rappresenta l’alter-ego di Scorsese: gli ostacoli del primo corrispondono a quelli affrontati dal cineasta a Hollywood, durante un periodo di empasse sentimentale (la fine del matrimonio con Isabella Rossellini) e lavorativa. Quest’ultima iniziata con il flop della pellicola precedente, Re per una notte, e continuata con il blocco della Paramount alle riprese de L’ultima tentazione di Cristo, a seguito delle complicazioni politiche in Medio-Oriente: il progetto fortemente voluto da Scorsese (la cui sceneggiatura tratta dal romanzo di Nikos Kazantzakis è stata adattata per il grande schermo da Paul Schrader) sarà realizzato solamente nell’88.

Griffin Dunne dialoga con Martin Scorsese durante le riprese del film.
La black-comedy Fuori orario è tratta dal soggetto e sceneggiatura Lies di Joseph Minion (scritta quando era studente alla Columbia University) i cui diritti furono acquistati dagli attori Amy Robinson e Griffin Dunne (che oltre ad essere il protagonista è anche tra i produttori del film) mentre il riadattamento cinematografico è frutto di un lavoro a quattro mani Scorsese-Minion. Sebbene il titolo previsto A night at SoHo, sia stato cambiato, il quartiere newyorkese rimane il luogo deputato anche per il ritorno a una produzione indipendente da parte del regista, come al tempo degli esordi. Le veloci panoramiche illuminate delle insegne della metropoli e i movimenti della macchina da presa, che sembrano avvolgere i personaggi, sono alcune cifre stilistiche del tocco di Michael Ballhaus: direttore della fotografia, che dopo aver collaborato a sedici film con lo scomparso Rainer Werner Fassbinder, inaugura con Fuori Orario il sodalizio artistico con Scorsese.
Libertà e ironia danno ritmo e colore alla narrazione: il cineasta non si risparmia nel prendere in giro il sistema degli studios, la cui critica (non troppo velata) al mondo hollywoodiano è sintetizzata nel commento di Marcy al romanzo di Henry Miller: “Questo non è un libro: è un insulto prolungato… Come uno sputo in faccia all’arte”. Varie strizzate d’occhio meta-cinematografiche (dalla citazione a Il Mago di Oz al cameo scorsesiano all’interno del locale Berlin) rendono la pellicola una parodia dei vari generi: dal noir al thriller, passando per il grottesco, il tutto completato dal pastiche della colonna musicale in cui vengono accostati brani classici di Bach e Mozart a quelli rock di Monkees e Bad Brains, ma anche Joni Mitchell a Cole Porter e Gerwish.
L’alienazione di Paul è evidente quando si perde nella “giungla d’asfalto” la cui fauna è popolata da un’ampia varietà di esponenti della sotto-cultura punk, sadomaso e intellettuale. Inoltre il protagonista si trova circondato da pseudo-artiste: dalla scultrice Kiki Bridges (Linda Fiorentino) coinquilina di Marcy, alla cameriera frustrata Julia (Teri Garr) che lo invita nel suo appartamento simil-sixties per arrivare infine, alla scultrice June che per nasconderlo da una folla inferocita, lo rende una statua-umana “fagocitata” nel labirinto di SoHo (non a caso il primo finale prevedeva la regressione di Paul nel ventre di June). La dinamica dentro e fuori, espressa a livello visivo negli ambienti interni ed esterni (degli appartamenti e locali a confronto con le vie di SoHo) è in sintonia con gli imprevisti che ostacolano la fuga del protagonista (il primo tentativo fallisce miseramente con i 97 centesimi insufficienti per acquistare il biglietto della metro).
Nonostante il susseguirsi non-stop dei vari personaggi incontrati, nessuno sembra intenzionato a offrirgli un aiuto concreto anzi, l’assurdità stessa dei dialoghi rivela come ognuno di loro sia chiuso nel proprio mondo, incapace di comunicazione con l’altro: infatti quando Paul racconta qualcosa di sé, l’ascoltatore si annoia e finisce con l’addormentarsi (come nel caso di Kiki). In un film dove tutto è farsa e fine a se stesso i significati si perdono tra il voyeurismo del protagonista (che spia due scene di eros e thanatos, avvenute nell’appartamento di fronte) e mania di persecuzione, frutto di una fobia infantile legata alle ustioni che riemerge sotto forma di creme, fotografie e fasciature-feticcio. Il fuoco, associato alla presenza delle varie femmes fatales, indica il pericolo in cui si imbatte Paul: ognuna dimostra l’intenzione di prenderlo in trappola (come la cameriera, al pari dei topi che ha intorno al letto) o di farne una propria creatura-creazione (come la figura materna June).
Tra scambi di identità (Marcy all’inizio prende in prestito il nome dell’amica) ed equivoci (Paul viene scambiato per un ladro, ricercato ed inseguito) lo spettatore ricostruisce i legami tra i vari personaggi grazie a dei dettagli che fanno capolino come tasselli di un puzzle (il teschio-portachiavi del barista e quello tatuato sul corpo di Marcy). Il ticchettio dell’orologio, che a tratti prevale sulla colonna sonora, scandisce le tappe kafkiane di Paul, avvolgendolo in un vortice notturno fatto di attese e contrattempi, senza possibilità di uscirne. Ogni collegamento spazio-temporale salta, annullando il senso di orientamento: la dimensione del caos e del non-sense prende il sopravvento sull’ordine generale, mettendo il protagonista nei panni di un’Alice underground, catapultato come lei in un universo parallelo ai limiti del grottesco.
La sospensione tra sogno e realtà viene brutalmente recisa al finale, quando Paul, immobilizzato in una scultura concettuale, cade dal furgone sul quale era stato caricato da dei ladruncoli. Liberato così dal gesso che cadendo si è rotto in pezzi, il sopravvissuto Paul si ritrova davanti al palazzo del suo ufficio con addosso le macerie di una notte folle, paradossalmente pronto a ri-prendere una routine mai terminata.
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