
Quando Godard filmò i Rolling Stones abbracciare il diavolo
October 18, 2019Con una fama ormai raggiunta e consolidata nell’arco di pochi anni (otto, circa) e l’esperienza col Gruppo Dziga Vertov alle porte, Jean-Luc Godard si reca in Inghilterra per girare un documentario sulla legalizzazione dell’aborto. Non appena atterrato, scopre che è stata appena varata la legge che rende molto più facile interrompere una gravidanza ed è subito chiaro quanto inutile sia diventato quel suo film che stava per nascere. I produttori lo pregano comunque di rimanere lì e di girare qualcos’altro, e Godard propone di riprendere i Beatles o i Rolling Stones mentre sono in studio a registrare. Lennon&Co. rifiutano l’offerta, la concorrenza no. È così (?) che viene alla luce Sympathy for the Devil.
Le session si svolgono agli Olympic Sound Studios a Londra. Vediamo Mick Jagger istruire Brian Jones su come suonare la melodia che sta canticchiando. Alle sue spalle, Bill Wyman prova a orientarsi senza ricevere indicazioni precise. È il più vecchio di tutti. Classe 1936. Qualche capello grigio s’intravede già e stona con la capigliatura d’angelo biondo del moriturus Jones, il quale spirerà un anno più tardi in circostanze mai chiarite del tutto. Il 1969, l’anno in cui l’America è cambiata e la Summer of Love è finita per sempre, portando con sé l’ultimo rimasuglio di spensieratezza che quei giovani hanno avuto. Pannelli colorati (arancione, giallo, verde) a separare i musicisti. Il cinema di Godard è costituito da parole e cromatismi, qui è la location stessa a giocare a suo favore: è sufficiente filmare quel che c’è nella stanza.
Arriva Keith Richards, occhiali da sole sul volto, dice qualcosa a Wyman per farlo sentire meno abbandonato a se stesso. Charlie Watts, batterista jazz imprestato alla più grande rock and roll band del mondo, si annoia mentre è seduto di fronte alle pelli e ai tamburi, costretto ad aspettare gli altri membri. La macchina da presa compie panoramiche da destra a sinistra, da sinistra a destra. Entrano nell’inquadratura il boom per registrare il suono e il fotografo di scena. Qualcuno passa velocemente di fronte all’obiettivo. Tutto rimane nel montaggio. Cinema allo stato grezzo, il che significa con imperfezioni, ma rispecchiante il vero mentre prende forma. Sta nascendo la canzone Sympathy for the Devil, sarà uno degli inni della band.
Altrove, anarchici, mossi come marionette sopra un palcoscenico dove politica e tensioni sociali ribollono insieme, imbrattano con bombolette spray le finestre dell’hotel Hilton; pantere nere si organizzano; ninfe vengono intervistate in bosco e rispondono con soli monosillabi. Il mondo sessantottino porta avanti una rivoluzione ormai finita e già trasformatasi in altre battaglie per un mondo diverso. Come il regista ha abituato il suo pubblico, lo spazio e gli oggetti possono essere scomposti assieme alle idee ai concetti. Forme nuove.
Amplificatori Vox. Pianoforti verticali C. Bechstein. Bottiglie di Coca-Cola in vetro. Taccuini scuri. Suonare il blues, parlare del ragtime. Evocare il nemico De Gaulle e Lyndon Johnson. Neri in una discarica, bianchi impegnati a fare musica all’interno di una gabbia dorata mentre fuori il mondo brucia. Arrabbiati, protetti. FBI + CIA = TWA + PANAM. Armi da fuoco e rottami. Sigarette accese con fiammiferi lanciati singolarmente da un lato all’altro dello studio. C’è un estintore da qualche parte, circondato da bicchieri di carta. Maracas appoggiate su un piccolo pianoforte. Jagger Primadonna, capelli da cherubino e camicia bianca svolazzante, si piazza ogni volta che può di fronte all’obiettivo. Lo fa sempre. Jones a volte sorride ai cameramen, mentre Watts è quello più scocciato dall’avere gente esterna in studio. Wyman timidone. Richards ha il comportamento più naturale di tutti: per lui è normalissimo venir filmato da uno dei più importanti filmmaker al mondo. Cinque diverse reazioni al medesimo accadimento: il cinema che documenta.
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