
Le avventure di Pinocchio
January 10, 2020Questo è il Pinocchio di Matteo Garrone e non di Collodi e le regole narrative come visive le decide lui. Così è infatti che il film si apre con una manciata di minuti che bastano per capire le intenzioni drammaturgiche del film: Geppetto è un magrissimo Roberto Benigni, lavora il poco legno che gli resta nella sporca bottega, volontariamente gira il paese per cercare qualcosa da riparare per pagarsi un pasto caldo e in caso negativo con lo scalpelletto scava dal fondo di una pentola gli ultimi avanti.
Se non di cibo, il cuore e lo stomaco possono cibarsi di amore e in assenza del primo, alla vista dei burattini del circo di Mangiafuoco, decide di costruirsi un proprio burattino, auspicandosi di cominciare a provare del vero e proprio amore.
Dal legno alle rifiniture, fino a vestire il piccolo burattino con un vestitino rosso sangue, pulsante emozione per il gelido cuore del falegname. La magia è diretta animazione del piccolo, con Geppetto che scende in strada a urlare l’improvvisa paternità, è un momento forte, dolcissimo, la realizzazione intima di un uomo essenzialmente solo.
Del Pinocchio di Garrone vi è tantissimo di Luigi Comencini e del suo più famoso sceneggiato. Matteo Garrone ne prende lo spirito fanciullesco e la morale didattica per emulare Il Racconto dei Racconti nell’impostazione come nella costruzione di ogni singola immagine grazie ai soliti effetti digitali e pratici di trucco chirurgico – meno freschi e limitati causa budget più stretto – e ogni singolo momento restituisce una vera e propria magia immaginifica.
Lo spirito per un racconto un pelo più maturo e gotico mostra una vena inedita (mai nessuno aveva osato sevizie e trasformazioni violente in questa storia) e Garrone mette in scena sempre tenendo conto dell’incipit iniziale: la povertà, l’amore e la solitudine.
Il burattino dal cappellino rosso vaga per questa terra, conoscendo amici e non, non conosce la fiducia e viene raggirato facilmente, ma la ricerca del suo babbo sarà caldo motore fumante di tutta la vicenda.
Mai come questa volta, il coro di voci indisposte verso il lavoro di Garrone necessitano un filtro pieno. Non è una rilettura tanto meno reinvenzione del classico di Collodi, bensì la messa in scena, brillante ed emozionante, di un regista che coniuga sapientemente la vena autoriale alla necessità di proporre un film per tutta la famiglia e non troverete mai al cinema un Pinocchio preso e impiccato al buio su un albero con quella stessa brutalità con cui il regista aveva già firmato il cupo Dogman che di per se era già un’avventura con Pinocchio e Lucignolo in una situazione prettamente urbana.
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