
Sonic – Il Film, correre a vuoto
February 18, 2020Ripensare oggi a tutte le polemiche sul character design del Sonic di Jeff Fowler, con conseguente pioggia caustica di commenti social e dietrofront immediato della produzione, per modellare un personaggio a immagine e somiglianza delle lamentele, fa un po’ sorridere. Vuoi perché usciti dalla sala ci si è resi conto che i problemi erano ben altri, ma soprattutto perché si è andato a togliere uno strato “freak” e distintivo, per quanto discutibile, a una pellicola che fatica terribilmente a rimanere impressa, come un riccio blu che corre troppo veloce per essere fotografato da un autovelox.
Sonic The Hedgehog è a tratti impalpabile, scivoloso, senza appigli d’interesse, se non un Jim Carrey tarantolato che dà un po’ di colore e ritmo col suo Robotnik, protagonista dell’unica sequenza degna di nota, la “boss fight” finale, rendendosi presto conto di quanto la sua sia però una performance solitaria tra le quattro mura dell’inquadratura.
È quasi un corpo estraneo al cast, un missile sparato fuori traiettoria, esplosivo ma lontano dal bersaglio. Ed è un peccato, perché in fondo Robotnik è il personaggio più aderente al mondo di Sonic, quello più videoludico, tra invenzioni matte e l’egocentrismo tipico di un cattivo virtuale, l’elemento più vivo di un universo narrativo e ambientale che è stato totalmente sprecato.
Alla Green Hill Zone dell’incipit – storico primo livello di quasi tutti i giochi, da cui Sonic sfugge ancora cucciolo, protetto dal sacrificio della madre adottiva, argomento che non tornerà più fuori per i successivi 90’ – viene subito sostituita la Green Hill del Montana, la più anonima delle province statunitensi, dove un Sonic adolescente e dal vocabolario stereotipato (Ben Schwartz) corre a vuoto in un contesto che lo vede estraneo, nascosto, lontano dall’eroe spaccone che abbiamo conosciuto pad alla mano. Almeno fin quando la devastante energia che ha in corpo non esplode, attirando le attenzioni del Pentagono e dello scienziato pazzo interpretato da Carrey.
Tutto l’immaginario estetico creato in quasi 30 anni di saga scompare in favore di un approccio alla Roger Rabbit che non paga e taglia le gambe all’inventiva, spingendo la pellicola verso la storia di amicizia tra Sonic e lo sceriffo Tom Wachowski (James Marsden) piuttosto che sull’azione sfrenata e sulla pura velocità, che ha reso la mascotte SEGA parte integrante del tessuto pop dagli anni ’90 a oggi. Perché non puntare su una produzione esclusivamente in CGI, totalmente surreale, piuttosto che costringere in cattività il personaggio in una fotografia monocorde, anonima, da commedia della domenica mattina? Viene da chiederselo, perché poi le rare volte che il film schiaccia a fondo l’acceleratore, o per lo meno ci prova, vengono fuori delle scene d’azione discrete, competenti, soprattutto divertenti.
Momenti ipercinetici in un deserto di staticità. Non si può fare neanche un discorso di target, quello è un alibi debolissimo. I “film per ragazzi” sono oggi i cinecomic e la grande animazione in computer grafica, opere tendenzialmente ben più strutturate e accattivanti, che alzano inesorabilmente le aspettative degli spettatori più giovani. Basta andare indietro di qualche mese per trovare un Dragon Trainer che si divora letteralmente una produzione come Sonic, nata comunque da un budget importante, quasi 100 milioni (di cui 5 milioni per il redesign del personaggio, praticamente la stessa cifra di una meraviglia come Spider-Man: Into the Spiderverse), che potevano essere usati con molta più saggezza, probabilmente in altre mani. Non c’è una visione, non c’è un’idea, non c’è un traino narrativo, laddove la proprietà intellettuale, ancora oggi, offre meccaniche, spunti e panorami unici che sarebbe davvero interessante vedere utilizzati con mano sapiente in una pellicola che gli renda giustizia.
Il coltello nella piaga sono i titoli di coda, che ripercorrono in fast forward i minuti appena trascorsi con grafica 16-bit, tipica del Mega Drive, facendo intravedere idee interessantissime e lasciando immaginare un’opera che riuscisse a giocare con quel tipo di pedigree ed estetica. Sia chiaro che non si parla di un film brutto, rotto, incompetente, ma inesorabilmente mediocre, insipido, con giusto una spruzzata di gag carine qua e là, qualche citazione e una frecciatina in particolare al nemico di sempre, il Mario di casa Nintendo. E purtroppo la mediocrità è l’unica cosa che nel cinema non ci si può permettere.
- Agnès Varda e quella bellissima, tragica estate del ’65 – Le Bonheur - February 9, 2021
- Venezia77: Il Dubbio – Parte 1, nella mente dell’artista - October 14, 2020
- Venezia77: 200 Meters, quando i confini amplificano le distanze - September 12, 2020