Berlinale70: Running on Empty, crescita ed evasione

Berlinale70: Running on Empty, crescita ed evasione

February 27, 2020 0 By Simone Tarditi

Tra i documentari visionati nella sezione Panorama durante le giornate di Berlinale70, Running on Empty dell’austriaca Lisa Weber sembra essere quello realizzato con maggiore distacco, forse per l’aver privilegiato riprese fisse, lasciando la videocamera su cavalletto, libera di documentare tutto quel che capitava di fronte all’obiettivo e rimandando il dare una forma omogenea al tutto solo una volta varcata la sala di montaggio. Un distacco che non è chiaramente emotivo considerata la vicinanza alla protagonista, Claudia, una ragazza di soli vent’anni che ha già un figlio che si appresta ad andare alla scuola elementare.

Con un’adolescenza finita già da quindicenne e con un infante a cui badare, Claudia la si vede dapprima condividere un appartamento con il fratello e la madre, entrambi affetti da grave obesità, e in un secondo momento andare a convivere con il suo fidanzato, che tuttavia non è il padre di suo figlio. Una vita resa difficile, le cui grandi preoccupazioni famigliari non sembrano essere quelle di un futuro di benessere a cui nessuno avrà accesso, quanto piuttosto il ricevere regolarmente l’assegno per la disoccupazione, una sorta di reddito di cittadinanza, e la pensione d’invalidità.

E ciò nonostante, il denaro per pagare le bollette manca sempre e i debiti si accumulano in pile di raccomandate recapitate a casa. Si aggiunge lo sconforto dato da corsi di apprendistato per imparare a fare qualcosa e ottenere un titolo che certifichi una specifica competenza, così da essere assunti da qualche parte, ma è un costo anche questo. Meglio sguazzare nell’inerzia e aspettare che succeda qualcosa. L’evasione dentro cui ci si rifugia è quella nelle realtà videoludiche e, successivamente, nel fumo.

Insomma, in Running on Empty si assiste ad anni che passano, corpi che cambiano e invecchiano, senza transizioni che informino che sia trascorso un tot tempo. È una scelta stilistica d’impatto, quasi non ce ne si accorge, ma avviene. Solo gli spostamenti di quei corpi all’interno di spazi, identici o diversi, sancisce una crescita dei protagonisti. L’inconcludenza in cui sfocia il film è da considerarsi come anche quella dell’esistere, in generale, ma soprattutto di chi non ha alcuno scopo se non quello di barcamenarsi da un giorno a quello successivo, puntando a sopravvivere e basta.

Running on Empty Berlinale review

Simone Tarditi