
Berlinale70: Death of Nintendo, tra virilità e adolescenza
March 2, 2020Le scosse di terremoto nelle Filippine sono eventi quotidiani, per cui nessuno se ne cura o preoccupa più del dovuto. Addirittura alcune bambine soltanto vedendo l’oscillazione degli oggetti riescono a capirne il magnitudo. Una roba da veri fuoriclasse.
Oltre gli oggetti barcollanti, c’è la corrente che fa le bizze, motivo per cui è normale aspettarsi un calo di tensione mentre si guarda la tv o si gioca con il Nintendo. I nostri giovani protagonisti lo sanno bene e non se ne curano più di tanto: la tv si spegne? Si esce fuori a giocare, perché giocare a The Legend of Zelda sul NES è bello, ma veder passare la bambina di cui siamo infatuati è molto più bello.
C’è questo aspetto da non sottovalutare in Death of Nintendo: se è vero che il peggior nemico di un videogiocatore è la patata, è anche vero che Death of Nintendo è un mistero di comprensione per chiunque guardi il film cercando qualche analogia tra la casa nipponica produttrice di videogame e la morale finale. Presentato a Berlino in questi giorni, il film della regista filippina Raya Martin è un compendio di luoghi comuni sull’adolescenza, cercando in qualche modo di far leva sulla diversità tra popoli per quanto e come vivere l’adolescenza, per poi scoprire che di “diverso” non c’è praticamente nulla.
Si va a scuola, si torna a casa a fare i compiti, un panino e un succo di frutta, poi Nintendo e uscita con gli amici ad accamparsi nei pressi del cimitero a raccontarsi storie dell’orrore, attendere l’estate per andare in piscina con le compagne di scuola e vederle in costume per ammirare le prime evoluzioni ormonali sul loro corpo. Poi c’è lo sport, il calcio, le docce, la gara a chi si masturba più veloce rubando riviste porno ai genitori; insomma, una grande e panoramica sulle prime pulsioni sessuali di giovani filippini, raccontate con un piglio ilare, mai troppo serioso e anzi, divertendosi con questi protagonisti così impacciati, anche nei loro goffi tentativi di dimostrarsi più grandi della loro età.
C’è qualcosa che poi è davvero funzionale e che risulta essere un piccolo veicolo per mantenere salda la visione fino alla fine: la circoncisione.
Ammetto nella mia grande ignoranza di non conoscere nei dettagli l’aspetto “sacro” di questa piccola operazione. Se comunemente idealizziamo come il primo rapporto sessuale qualcosa che porta entrambi i sessi ad essere definitivamente Uomini e Donne, in questo piccolo spaccato di storia, i bambini diventano davvero uomini solo se circoncisi. Addirittura si bullizza il bambino non circonciso, idealizzandolo alla stregua di un barbone.
Il non sapere perché di questa cosa, mi ha stranamente affascinato, e tutta la seconda parte del film, si concentra su questo piccolo aspetto, con il nostro gruppo di protagonisti non circoncisi, i genitori che si rifiutano di fargli fare ora questa operazione e quindi andare alla ricerca di qualche santone sperduto in una foresta e farsi circoncidere.
Alla fine del film, divertente, ma privo di qualsiasi brio drammaturgico o abilità registica, la regista avrebbe potuto giocare molto di più la carta titolo bonus facendo riferimento alla circoncisione e non a qualcosa che poi, concretamente, c’entra poco e nulla con il film.
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