Venezia77: The Flood Won’t Come, antropologia della guerra

Venezia77: The Flood Won’t Come, antropologia della guerra

September 10, 2020 0 By Angelo Armandi

Venezia77: The flood won’t come (Tvano Nebus), primo lungometraggio del lituano Marat Sargsyan. Il mondo rappresentato, quello su cui non cadrà mai il diluvio purificatore, è intessuto di antropologia bellica, è anzi esso stesso plasmato nella matrice bellica: un mondo senza guerra non solo non è possibile, ma neanche concepibile.

Lo stanco protagonista, il Colonnello, arranca in un paesaggio slavato, in cui viene negato persino il sogno di una realtà di pace, essendo l’universo piegato attorno alla ciclicità della barbarie; e come una fenice egli cade e si rialza, perpetuando il ciclo, mescolando incubo alla verità, perché l’unica verità ammissibile è la negazione di qualcosa (esiste il buio come negazione della luce, la guerra come negazione della pace, il male come assenza di bene).

La macchina da presa è soggiogata alla ordinarietà della guerra; vaga in luoghi brulli senza traccia di vita con la grazia della lirica, quindi converge sui proiettili a raggiera, sui corpi ammassati dei soldati alle prese con rituali sadici o rabbiosi, sui prigionieri che sottoterra discutono della necessità del nichilismo per non cedere alla trappola della speranza. Lo sguardo sui corpi è alternato al filtro bellico dei cecchini, dei mirini, dei visori notturni, ovvero gli unici filtri concepibili, in simbiosi con la compagine umana, anch’essa fusa al metallo e assuefatta all’esplosione di ordigni.

Il Colonnello s’adopera per mantenere una ritualità della guerra, affinché la brutalità venga moralmente codicizzata, ascritta a delle leggi che distinguano la civiltà dalla barbarie. Questa antropologia, assai affine ad una antichità ellenica perduta (complice l’assenza della divinità cristianamente intesa), difficilmente riesce ad essere controllata, essendo la promessa della eversione molto più appetibile, nonché corruttibile, che si tratti di un accoppiamento animale o del traffico di organi umani.

Il Colonnello detta le regole, controlla le fondamenta su cui è eretta la vacillante civiltà, si preoccupa dei rituali e della rettitudine dei soldati. Tuttavia la guerra, nel suo cieco incedere, fagocita la norma in favore dell’anarchia, divenendo un flusso inarrestabile. Questa idolatria marziale, tuttavia, si scontra contro il desiderio della nuova divinità, un agognare perpetuo del monoteismo (dal prigioniero torturato con le fattezze di Cristo all’immagine degli altri prigionieri raggruppati attorno al tavolo ed inquadrati come dediti a consumare l’ultima cena).

Il desiderio del divino, in contrasto con il nichilismo regolamentato dal Colonnello, angelo sterminatore, sboccia da ogni fotogramma, da ogni millimetrico movimento del piano sequenza, divenendo presenza immanente, seppure irraggiungibile, intoccabile, impenetrabile al kratos che domina le menti degli umani. E gli umani, non potendo aspirare alla conoscenza della pace, perpetuano il massacro, illudendosi di potergli conferire forme irrisorie di dignità.

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Angelo Armandi