
Le giornate del Cinema Muto 2020: follia, desideri, ossessioni
October 12, 2020 0 By Simone TarditiGiorno dopo giorno la qualità della 39ma edizione delle Giornate del Cinema Muto è andata a migliorare sotto ogni aspetto. Tra i titoli più memorabili c’è sicuramente La tempesta in un cranio (1921) di Carlo Campogalliani. Il protagonista è un uomo ossessionato dall’eredità genetica e dalle tare ataviche e il film ruota attorno a questa concezione della follia che parrebbe trasmettersi da un discendente all’altro per mezzo del DNA – benchè di DNA, ai tempi, non si può ancora parlare. “Ultimo rampollo di una stirpe di pazzi”, recita una delle didascalie del film per descrivere Renato De Ortis, un personaggio riassumibile con tre aggettivi: ricco, nobile, amato. Verrebbe da aggiungerne un quarto e un quinto: annoiato, apatico. Costui vive nell’ozio e passa il suo tempo chino sui libri alla ricerca di vane risposte circa il suo male invisibile (e inesistente). Chi lo circonda è preoccupato per il suo futuro ed escogiterà uno stratagemma per farlo uscire da questa condizione di torpore. Del tutto insolita per modalità di svolgimento, la commedia di Campogalliani rappresenta un caso particolare all’interno della seleziona operata quest’anno da Jay Weissberg. Da vedere, più che da descrivere a parole. Un’escalation tra i piani della psiche, tra i grovigli della mente, tra le reti neuronali.

La tempesta in un cranio (C. Campogalliani, 1921)
Singolare anche Oi Apachides ton Athinon (trad. Gli apache di Atene, 1930), diretto da Dimitrios Gaziades e considerato a lungo perduto. Narrazione standard: un giovane dalle umili origini soprannominato Il Principe (“Si atteggia con classe, nonostante i vestiti sgualciti”) mira a una scalata sociale per mezzo di un imbroglio. Gli riuscirà? Il regista è più interessato alla messinscena che alla trama, ed è un bene. La mdp si sofferma a lungo nei quartieri popolari della capitale greca, zone poverissime dove la gente si arrabatta per mangiare. La criminalità è ovunque. L’acropoli, sempre mostrata da lontano, dal basso verso l’alto, rappresenta una bellezza arroccata, irraggiungibile. Elemento di spicco è quello musicale: le partiture d’orchestra, a tratti anche troppo ingombranti nonostante tra gli spettatori virtuali esse riscontrino grande successo, si mescolano a incisioni su ceralacca dell’epoca con l’indistinguibile brusio di sottofondo. L’alternanza è gestita con raziocinio: le vecchie canzoni vengono impiegate ogni qual volta che sullo schermo compaiono strumentisti o grammofoni in funzione. A proposito di colonne sonore diverse, è anche questo il caso del western di Cecil B. DeMille, A Romance of the Redwoods (1917). L’amalgama sonora non è decisamente migliore, sebbene il film in sé lo sia.
Abwege (G. W. Pabst, 1928) è il cinema di Weimar al suo meglio. Produzione curatissima in ogni dettaglio e una fotografia da piangere diamanti. Questo film è un tale gioiello per gli occhi che fa soprassedere a quella che è una sceneggiatura inconcludente e il cui arco di sviluppo è, se non nullo, senza uno scopo sensato. Una donna (l’attrice Brigitte Helm, androgina il giusto eppure anche molto femminile) si vede combattuta tra l’amore per un pittore e la fedeltà nei confronti del fidanzato. Alla fine prenderà una decisione. È quasi tutto girato in interni, a rimarcare l’impossibilità di fuggire dalle proprie condizioni. Di uomini opprimenti tratta anche il danese Ballettens Datter (Holger-Madsen, 1913), con il suo protagonista maschile che, invaghitosi di un’attrice, se ne ossessiona a tal punto dal volerla solo per sé, chiedendole la mano e nel contempo imponendole di ritirarsi dalle scene, interrompendo così la sua carriera. La rinuncia di lei dura poco. Titolo molto piacevole e la cui regia viaggia sullo stesso binario della trama: è quella del Teatro. La chiusura del festival è affidata invece al programma Laurel or Hardy, con cinque corti dei due comici americani non ancora uniti in sodalizio artistico. I fan avranno avuto di che gioire.

Abwege (G. W. Pabst, 1928)
Into this world we're thrown".
-Jim Morrison
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