Un presente senza tempo. Appunti sparsi su Travis Scott: Look Mom I Can Fly

Un presente senza tempo. Appunti sparsi su Travis Scott: Look Mom I Can Fly

December 15, 2020 0 By Simone Tarditi

A Travis Scott manca l’ossigeno quando ritorna nella casa in cui è cresciuto, stretto per pochi minuti in quelle vecchie pareti, mica quando scende dal palco dopo aver incendiato il proprio pubblico con due ore di live. Sul pendio delle emozioni pesa di più la sensazione opprimente di far riemergere nella memoria l’infanzia, isola felice, quel che allora si credeva sfera indistruttibile di affetto, punto di partenza e punto di approdo. Tutto e ogni cosa. Il trattamento messianico, le limousine scortate con più security del Papa o di un Presidente statunitense, gli arresti, il Super Bowl valgono quanto un ricordo da bambino? Il successo ha più valore di una stanza microscopica dentro la quale ci si è formati, spensieratamente, pensando unicamente a un presente libero da progettualità?

Look Mom I Can Fly (White Trash Tyler & Isaac Yowman, 2019), documentario Netflix giunto nel boom del successo più grande per il rapper Travis Scott, indaga e celebra il presente in ogni sua forma, distorcendolo nel tempo. L’estetica del film stupisce per il suo non avere in apparenza alcun senso tecno-filologico col secondo decennio del XXI secolo. I filmati girati con smartphone son stati “invecchiati” per farli sembrare usciti da una VHS di primi anni ’90. La postproduzione ha lavorato sui fotogrammi come un filtro di Instagram. Il risultato è volutamente posticcio, incapace di illudere fino in fondo gli occhi di chi guarda. Ne deriva l’ennesimo interrogativo senza risposta: meglio un finto disturbo magnetico sulle immagini o i maledetti pixel generati da un telefono di ultima generazione?

La risposta c’è, la si intuisce via via. Il progetto faraonico di Astroworld come esperienza di musica dal vivo riconcettualizza il concerto non in quanto realtà singola, bensì facente parte di tante altre ugualmente spettacolari, e lo va a inserire all’interno di molte attrazioni da luna park. E mentre il pubblico si gode uno show di gigantesche dimensioni, Travis Scott realizza il sogno d’infante distrutto in adolescenza: la ri-creazione di un luogo deputato alla gioia, al divertimento, smantellato di colpo. C’è un doppio guadagno in quest’operazione.

Il collante tra il Travis bambino e il Travis uomo, cantante intrattenitore e bestia rabbiosa dotata di autotune, son proprio quei video che lo ritraggono ora giovanissimo ora più maturo. Da cliente pagante a dominatore di folle oceaniche. La storia della sua vita, i periodi da una fase all’altra, i traguardi o il semplice esistere, tutti fissati assieme con lo stesso viraggio, la stessa tinta, dipinti in maniera uniforme, omogenea. Quasi identici. Tra uno ieri e un oggi non ci sono evidenti sbalzi o differenze. Il lasso che intercorre tra il non sapere cosa fare del proprio futuro e l’avercela fatta è solo questione d’interpolazione digitale. L’immagine simbolo, l’immagine icona. Santificata.

Simone Tarditi