
TSFF32: Le Regard de Charles, dentro un mare di ricordi
January 22, 2021 0 By Simone TarditiUn anno prima di morire, il novantatreenne Charles Aznavour fa scoprire all’amico Marc di Domenico una stanza segreta della sua casa dove sono nascosti autentici tesori: le bobine in 8 / 16mm contenenti filmati amatoriali da lui girati durante i viaggi in terra sovietica, Nord Africa, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, Sud America, nella soleggiata Italia. Ovunque andasse, filmava tutto. Un uomo che è vissuto nei cuori degli altri per la sua voce e con la sua voce si è guadagnato da vivere ha scelto il medium cinematografico, più immediato, per conservare un se stesso in previsione della posterità. A differenza delle sue canzoni, però, queste immagini non sono mai state mostrate a nessuno. Permette a di Domenico di accedervi sapendo che potrà tirarci fuori un qualcosa di interessante. Così è stato. Le Regard di Charles, presentato alla 32esima edizione del Trieste Film Festival, è un documentario che va oltre Aznavour come cantante: è una riflessione post-mortem sull’inafferrabilità del tempo che scorre, sull’impossibilità umana, quindi, di esistere pienamente su uno dei tre piani temporali con cui bisogna rapportarsi. Si pensa al passato, ci si proietta sempre nel futuro, ma alla fine si può solo fare i conti col presente. Che questione irrisolvibile.
“Ognuno di noi è il confine del mondo”, viene detto a un certo punto dal cantante attraverso la voce dell’attore Romain Duris. Con ogni probabilità una frase ricavata dai suoi taccuini. Qui non siamo più nel reame del cinema, della musica, dell’arte in qualsiasi sia la sua forma espressiva. Tali parole risuonano di solennità, di un’apertura filoetnoantropoligica nei confronti di un mondo che si può scoprire a frammenti, letteralmente a pezzi e bocconi. Charles Aznavour guarda ciò che lo circonda e si confronta con chi è in quell’istante, consapevole che non sarà sempre così. La mutevolezza lo accompagna. Si rivede nei bambini che riprende con la cinepresa nelle strade. Poveri, senza niente con cui giocare, tuttavia ancora sorridenti, pieni di vita e aspettative. Quanti di loro saranno usciti dalla miseria non ha importanza. “Il paese di un bambino è l’infanzia”, dice ancora.
Le Regard di Charles conquista anche per la sua fluidità, non tutti i documentari riescono sempre a transitare da un argomento all’altro senza che ce ne si accorga (si veda come qui viene gestita la parentesi armena o quelle famigliari). C’è spazio anche per la cinefilia più pura, come il dietro le quinte di Un Taxi Pour Tobrouk di Denys de La Patellière, con Lino Ventura che viene descritto ricercare nelle pause tutta la concentrazione possibile per fare i migliori spaghetti all’arrabbiata (non accetta critiche, la cucina è una cosa seria ai suoi occhi). Sono riprese a colori di un film in bianco a nero, l’audio è sincronizzabile. Esperienza unica. L’alternanza cromatica continua anche nella documentazione della traversata via mare, anni prima, volta a raggiungere Edith Piaf che si sposa a New York. Onde alte, umidità, vento, nausea, jam sessions, i bagagli personali che si accumulano di ricordi come le nubi di vapore acqueo. Questo e molto altro è Le Regard di Charles.
(A chi apprezza questo genere di produzioni si consiglia anche la visione di Ingrid Bergman: In Her Own Words)
Into this world we're thrown".
-Jim Morrison
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