
Berlinale71: la parentesi del rifugio di Any Day Now
March 9, 2021 0 By Gabriele BarducciAny Day Now di Hamy Ramezan è il film prototipo di qualunque Festival Cinematografico europeo, quasi fosse una prassi necessaria per stilare un calendario di prodotti e proiezioni ben inquadrate, specialmente in un periodo come quello che stiamo vivendo dove il tema dell’asilo politico, dell’accoglimento e della comprensione umana è salito alla ribalta, non per connotazioni positive purtroppo.
Il registe attinge dunque a qualche evento della sua infanzia, ecco dunque questa famiglia Iraniana che si rifugia in Finlandia e vive la sua quotidianità in attesa che la domanda di asilo venga accettata e dunque confermata, ma come prassi per storie da questo incipit, alla prima occasione, l’asilo viene respinto, nonostante ci sia possibilità di fare un ultimo ricorso. La classica luce in fondo al tunnel. Mentre si attendono di recuperare i documenti per il ricorso, il regista ci porta dentro il quotidiano del tredicenne Ramin.
Da questo punto, il film si distacca totalmente dalle ambizioni iniziali per diventare un ibrido difficile da catalogare. Da una parte c’è la vita a casa, delle stanze forse un po’ troppo piccole e dei vicini spioni antipatici che non vedono di buon occhio la famiglia straniera, ma nonostante le avversità, il padre di Ramin cercherà come possibile di distrarre tutti i membri della famiglia dalla possibile espulsione e quindi diretto vagabondaggio se anche il ricordo dovesse fallire. Qui il tono del racconto è altalenante, si segue con poco interesse per la spasmodica voglia del inserire sempre più personaggi secondari a contatto con questa famiglia. Si inizia un discorso sulla diversità, sull’ospitalità e il cambio del modo di vivere, ma non si conclude mai davvero nulla.
Meglio le parti invece che si concentrano su Ramin, bambino iraniano che, nonostante tutto, vive la sua gioventù tra la scuola e gli amici, compresi quelli che lo porteranno su una cattiva strada e poi le prime cotte, la bambina che gli piace e i consigli dei genitori.
Un involucro di tanti temi che non portano, concretamente, mai a un discorso ben articolato. Si giustifica in parte l’opera prima di Hamy Ramezan dunque, che ha un buon occhio estetico, il giusto tempo registico, ma sembra non trovarsi a suo agio con ciò di cui non è propriamente a conoscenza. Ramin è una sua diretta estensione e proprio in lui infonde il meglio del film, lasciando il resto a concetti puntellati e mai approfonditi.

`Cause tramps like us, baby we were born to run"
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