
Il caso Crisis: di scienza e coscienza civile
March 31, 2021 0 By Simone TarditiDi Crisis, un film di Nicholas Jarecki che segue tre filoni principali tra cui quello di un poliziotto infiltrato nel traffico illegale di psicofarmaci (Armie Hammer) e quello di una madre (Evangeline Lilly) alla ricerca di vendetta per il figlio, corriere della droga brutalmente ucciso, l’arco narrativo più interessante è rappresentato da quello che compie lo scienziato e professore universitario Tyrone Brower (Gary Oldman). Lo vediamo infatti combattere tra protocolli sanitari, il rapporto danni-benefici di una nuova medicina da immettere sul mercato, il dissidio interiore sul portare alla luce una verità, il resistere all’ondata di fango che lo colpisce una volta presa la decisione di mettersi contro tutti pur di restar fedele al giuramento ippocratico sul fare del bene e non del male al prossimo.
Deontologia professionale a discapito della vanagloria, dei corposi assegni, del rispetto dei colleghi, della tranquillità. Nel ribaltamento dei valori a cui è ormai andata incontro l’industria che, di fatto, stipendia il personaggio interpretato da Oldman, i soldi sono diventati più importanti della salute. Resosi conto di stare dando l’ok per la diffusione di un farmaco potenzialmente mortale, Brower si tira indietro. Solo che non può comportarsi così. A detta dei suoi superiori, egli ha stretto un patto che va oltre la collaborazione remunerata. Levando la sua firma e gettando un’ombra su tutta l’organizzazione, riceve in cambio quella che in gergo si definisce una shitstorm: viene fatta riaffiorare una vicenda di pseudo-molestia di cui lui è artefice ai danni di un’allieva e risultante in uno sputtanamento in pubblica piazza. Una macchinazione lesiva, questo è ciò che Brower ottiene per voler fare la cosa giusta. È interessante un aspetto di Crisis che viene gestito in secondo piano: la moglie di Brower viene mostrata incinta, ne deriva quindi che la maggiore consapevolezza del protagonista nei confronti del futuro può essere dovuta proprio dalla condizione della donna. Cercando di proteggere milioni di pazienti è come se volesse proteggere il mondo di domani, quello in cui vivrà il suo nascituro.
Secondo (e non marginale) aspetto è il riferimento che si fa a Louis Pasteur, figura chiave della scienza moderna. Lo richiama alla memoria proprio Brower durante una lezione all’università, sottolineando quanto la dedizione e la perseveranza debbano essere il fuoco che alimenta la passione verso il proprio lavoro: Pasteur ha infatti dovuto attendere trent’anni prima di trovare le prove alle sue teorie, trent’anni cioè per raggiungere la meta prefissata. Paul Muni, camaleontico attore al pari di Gary Oldman, ha vestito i panni del microbiologo francese in una pellicola del 1936, La vita del dottor Pasteur, per la regia di William Dieterle. Vale la pena soffermarsi su questo film per la sua vicinanza con Crisis: entrambi i protagonisti vengono ritratti come minacce per la società, reietti da mettere sulla croce. Sì, i motivi sono diversi e opposto è il percorso (l’uno discendente, l’altro ascendente), ma Pasteur e Brower sono soggetti su cui il peso della responsabilità civile rischia di innescare un annientamento. A caro prezzo pagano l’andare in direzione opposta, ma al pari di altri illustri esempi storici (Galileo, su tutti), patiscono un’oppressione individuale per consentire un avanzamento collettivo. Nell’immediato, ne vale la pena? Forse no, ma poi sì.
Ingiusto flop dell’Era Covid, Crisis passerà in sordina, senza quasi lasciare traccia, anche in seguito ai recenti sviluppi legati alla persona di Armie Hammer. Per un film co-prodotto dallo stesso Gary Oldman, segno quindi di un suo concreto interesse per l’argomento trattato (l’attore tra l’altro non finanziava un film da vent’anni a questa parte), è un peccato.
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