
Il settimanale Film: una rivista di cinema ai tempi del Fascismo
April 24, 2021 0 By Simone TarditiLa storia è la superficie su cui poggia ogni fenomeno di un dato tempo. Vale per tutto. Anche rileggendo il passato come qualcosa di lontano e che non ci coinvolge in prima persona, bisogna pensare che così invece non è stato per gli avi che ci hanno preceduto, per chi, cioè, ha vissuto un momento che non ci appartiene direttamente, ma nelle sue conseguenze, nelle sue derivazioni. E il Fascismo non è un racconto dei nostri nonni, è dietro l’angolo.
Sfogliando Film: settimanale di Cinematografo, Teatro e Radio si può constatare coi propri occhi com’è che a partire dal 1940 il regime tenti di innescare nella mente degli italiani un mutamento culturale definitivo. La prima metà di questa annata prosegue il lavoro cominciato quando, nel 1938, la rivista viene inaugurata. Il taglio editoriale è tanto semplice quanto accattivante: si parla soprattutto di produzioni hollywoodiane, tante sono le foto di scena e quelle scattate dietro le quinte, molte le recensioni in anteprima, senza dimenticare anche interviste inedite capaci di far illudere il lettore di essere sullo stesso piano delle star. Niente di più e niente di diverso rispetto a quello che altre testate facevano allora e oggi fanno ancora. La formula è la stessa, sempre invariata. Funziona. Con giugno e l’entrata in guerra, tutto cambia molto repentinamente: l’America deve smettere d’interessare e il giornale inizia a comporsi per un buon 99% di pellicole italiane. Questa dicotomia tra i primi sei mesi del 1940 e i restanti è totale, netta come la recisione operata da un’ascia fatta calare dall’alto. Chi ha bisogno di Gary Cooper quando può godersi il muso di Osvaldo Valenti? Chi può volere Bette Davis quando ci sono Doris Duranti o Vivi Gioi?
Il 1941 porta ciò alle estreme conseguenze: non solo i film statunitensi continuano a non essere trattati, ma, in quelle rare volte in cui succede, i toni sono dispregiativi, inverosimilmente critici. Un esempio: alcune immagini di gangster-movie fatti passare come baluardi della “grandezza” (cit.) USA. Come se oltreoceano i paladini autoeletti della democrazia nel mondo fossero meri criminali con un mitra Thompson tra le mani. Mussolini non fa altro che accontentare Hitler, il quale ha chiuso ogni rapporto col nemico dopo una serie di pellicole antinaziste prodotte a Hollywood (Bufera fatale su tutte, girata, ironia della sorte, da un italoamericano: Frank Borzage). Sul settimanale Film ecco allora arrivare reportage dagli studi UFA, nei cui stabilimenti meravigliose creazioni vengono portate alla luce. Lo spazio è riservato a divi di terra germanica e italica. Un’eccezione, apparentemente inspiegabile se non per il gusto da parte del nucleo direttivo maschile, è costituita dalla ventenne Maureen O’Hara, le cui fotografie continuano imperterrite a venir pubblicate senza logica in qualche angolo libero tra un pezzo scritto e l’altro. Al di là di tutto, ottant’anni dopo sorge spontanea una serie di domande: ci sarà stato un calo di copie vendute? Come si saranno sentiti i lettori, privati dall’oggi al domani di contenuti per loro interessanti? Quel pubblico abituato fino almeno al 1939-40 a vedere film americani avrà avvertito un tradimento da parte, anche, di quella rivista? In segreto avrà covato il desiderio di veder presto di nuovo del buon cinema a stelle e strisce? In qualche piratesco modo sarà continuata una sotterranea circolazione delle pellicole bandite dal Fascismo?
È a partire dal febbraio 1942 che il formato del giornale cambia, diventando grande soltanto la metà. La carta va risparmiata. Su ogni numero appaiono anche un paio di paginette in lingua tedesca. Il connubio “Ebrei” – “Hollywood” viaggia a braccetto in ogni articolo e il pregiudizio è tale che anche attori non semiti vengono definiti tali (come Cary Grant). Esce a puntate il libro di Budd Schulberg con protagonista Sammy Glick, ma col titolo Il romanzo degli Ebrei a Hollywood (traduzione a cura di Maria Martone). L’escalation è dietro l’angolo. A partire dal 31 gennaio 1943 non solo la presenza tedesca è sempre più massiccia, ma aumentano pure le pagine tradotte finché si rende necessario fare uscire il giornale in duplice copia, una per lingua. Nel mese di aprile la follia raggiunge forse il suo apice: vengono recensiti e derisi alcuni lungometraggi hollywoodiani … visionati in Svizzera, perché in Italia e in Germania è impossibile. In quel periodo si arriva persino ad accusare gli americani di aver ucciso Rodolfo Valentino. Teorie strampalate che non rasentano la pazzia, ma la confermano come male nazionale. “Continuiamo a non aver paura”, recita l’editoriale in copertina all’ultimo numero, quello del 28 agosto. Il collasso è imminente, l’8 settembre dista solo una decina di giorni …
Film risorge un paio di anni dopo assieme a tutto il paese, con delle proposte editoriali trasversali, salvo poi interrompere le pubblicazioni nel 1950 per cambiare forma. L’America, il suo cinema, i suoi interpreti, vengono celebrati come non mai. L’amore di un tempo, poi tramutato in odio, torna a essere un sentimento inclusivo, non più distruttivo. E assieme all’America si riprende a parlare della Francia, dei paesi nordici, del Regno Unito. Gli speciali dalla rinata Mostra del Cinema di Venezia, abbelliti dalle caricature di Umberto Onorato o di Fulvio Bianconi, sono il fiore all’occhiello, un’immersione dentro sogni di celluloide che solo una realtà post-bellica può garantire.
Giornate come il 25 aprile a questo devono servire: ricordare il passato per ripercorrerlo, studiarlo, comprenderlo e, infine, percepirlo come temporalmente vicino. Perché lo è.
Into this world we're thrown".
-Jim Morrison
- Se Renfield è il futuro del cinema siamo messi male - May 23, 2023
- Appunti sparsi su Zelig di Woody Allen - May 19, 2023
- Niagara, anomalie americane - May 12, 2023
About The Author
"Into this house we're born. Into this world we're thrown". -Jim Morrison