Appunti sparsi di cinema documentaristico a Venezia78

Appunti sparsi di cinema documentaristico a Venezia78

September 14, 2021 0 By Simone Tarditi

Di molto cinema passato a Venezia78 è quello prodotto e realizzato in Italia a ritagliarsi uno spazio a sé, uno spazio non privilegiato, ma di dignità artistica, di valore nazionale, di emancipazione rispetto agli standard esteri che, a volte forse giustamente, si fanno apprezzare di più proprio perché maggiori sono le fatiche con cui vengono portati avanti. Nell’ambiente della critica spesso si pensa, si scrive, si dice sottovoce quanto oggi – un oggi temporalmente indefinito che dura da quasi quarant’anni – il cinema italiano sgobbi a farsi notare sulla concorrenza. Un fatto talmente palese da non poter essere ignorato. E se è troppo presto per rispolverare il liso termine di “rinascita”, perlomeno quest’anno a Venezia si è potuto godere di progetti nostrani meritevoli anche al di fuori dei vari Sorrentino, Mainetti, Frammartino.

Il mondo a scatti di e su Cecilia Mangini, mancata di recente, è un grande viaggio attraverso le epoche del Novecento (e oltre) nell’Italia sempre uguale a se stessa e sempre in trasformazione. La cineasta fotografa, dall’aver allenato il proprio occhio sulle riviste Signal e Tempo all’aver lavorato sui set della Titanus, è una donna senza età, energica novantenne alla guida della propria esistenza fino al termine della corsa. Un documentario (co-firmato anche da Paolo Pisanelli) su un paese perennemente arretrato anche quando proiettato verso il progresso, ma dentro il cui tessuto antropologico vale la pena immergersi totalmente e perdersi all’interno. Due verità su di sé che Cecilia svela allo spettatore necessitano di essere riportate fedelmente: “La fotografia per me è stata la conquista fondamentale per fare cinema”, e poi, qualche decina di minuti più avanti, “Io credo che l’immagine in se stessa sia un mistero”.

Di misteri, di fotogrammi rivelatrici di verità (sempre parziale), di conquista (bellica, ma anche cinematografica), tratta La macchina delle immagini di Alfredo C., ibrida creatura dell’Istituto Luce-Cinecittà assemblata e diretta da Roland Sejko. Da Roma all’Albania, in un itinerario che procede avanti e indietro lungo tappe forzate tra il 1939 e il 1944: il fascismo, la sottomissione di un popolo oltremare, la propaganda, il credo e la fede, la sconfitta (o, le sconfitte), il turnover delle ideologie, l’abisso della memoria e i supporti su cui si annidano i ricordi. Un po’ documentario e un po’ muto biopic che vive di voice-over e di un unico protagonista che interagisce direttamente con la sua coscienza di cineoperatore, La macchina delle immagini di Alfredo C. è molto più che una riflessione sulla guerra e sull’arma del cinema: è un duello che alcuni soggetti intraprendono per provare a sconfiggere, o se non altro a domare, la forza devastatrice del tempo.

In fin dei conti, anche Caveman di Tommaso Landucci racconta una storia di vittoria dell’uomo sul tempo: il percorso dello scultore Filippo Dobrilla sulla Terra, in un amalgama a tratti indistinta di arte, corpi, materia modellata, egoismo, ricerca di equilibrio, deterioramento. L’opera documentaristica più emozionante tra quelle presentate a Venezia78, un monumento autentico all’Artista come figura costretta a misurarsi con la vacuità degli altri esseri umani e facente parte di una dimensione superiore dell’esistenza. I meccanismi sociali tendono all’imprigionare l’individuo nelle maglie di un tracciato precostituito: scappare da tutto ciò è impossibile, ma esistono delle vie di fuga. Nel mortale Dobrilla, quasi un Cristo caravaggesco, coesistono tante nature: è allevatore, speleologo, anatomista, artista, padre, in un fluire costante in cui ogni cosa non smette mai di trasformarsi.

Sul passato e sulla difficoltà di sopravvivere al presente s’interroga Cùntami di Giovanna Taviani, che sarà anche figlia e nipote di due registi leggendari, ma è incontestabile quanto il suo cinema sia autonomo e slegato dalla loro produzione. Tra pupari, marionette, miti arcaici, testi omerici, bombardamenti su Palermo nel 1943, Garibaldi, il documentario si agita in un groviglio di testi e suggestioni differenti, raccontando di una Sicilia “attanagliata dalla morsa della criminalità organizzata”, ma anche bellissima in tutto ciò che è racchiuso nel perimetro costiero-insulare. Cùntami ritrae un paesaggio mutevole, fatto di tonnare e mulini a vento (Cervantes li avrà visti?), di terra nera dell’Etna e impianti petrolchimici, avviandosi verso una conclusione degna del cognome della regista: l’idea di un aldilà dove sforzi, sfide, lotte continuano come qui, nel mondo dei vivi.

Simone Tarditi