Un posto al sole di George Stevens, una tragedia americana

Un posto al sole di George Stevens, una tragedia americana

September 20, 2021 0 By Mariangela Martelli

E’ il 1951 quando esce Un posto al sole (A Place in the Sun) di George Stevens, remake della pellicola del ’31 di Josef von Sternberg, An American tragedy, titolo omonimo del romanzo da cui sono tratte le vicende. La base narrativa del libro, Una tragedia americana (An American tragedy, 1925) di Theodore Dreiser, trae spunto dalla cronaca nera del 1906, dall’omicidio di Grace Brown ad opera di Chester Gillette. La Paramount è restia nel dare il via libera a Stevens per la nuova versione (a causa dell’insuccesso di quella del ’31), ma alla fine, la casa di produzione cede sotto le continue insistenze del regista. La nuova versione è un successo e viene premiata con 6 Oscar.

I titoli di testa si aprono sul protagonista, George Eastman (Montgomery Clift) mentre fa l’autostop, alle sue spalle un cartellone pubblicitario. Il giovane si ferma a osservare l’immagine della modella in costume da bagno, mentre la scritta “It’s an Eastman!” sembra annunciare la seconda vita di George, in cerca di fortuna. Una volta in città, il protagonista va a trovare lo zio: l’uomo, proprietario della ditta dei costumi della pubblicità, mantiene la promessa fatta al nipote, assumendolo. Il ricco parente è l’unico a vedere in George una persona che vuole rimboccarsi le maniche, pur di riscattare la propria condizione di partenza, a differenza della zia e del cugino che non riescono a vedere oltre l’etichetta del “parente povero”, affibbiatagli. Con l’assunzione alla fabbrica, inizia la “scalata sociale” di George, il quale, nonostante il divieto di non frequentare le colleghe dopo il lavoro, inizia a uscire con un’impiegata, Alice Tripp (Shelley Winters).

Continuano le brevi visite alla villa Eastman, dove George rimane colpito fin da subito dagli spazi ampi e scintillanti. L’incanto che l’ambiente altolocato esercita sul protagonista si espande all’entrata in scena della giovane ereditiera Angela Vickers (una diciassettenne Liz Taylor). La ragazza, inglobata nella promessa di felicità di George, diventa il prezioso valore a cui il protagonista tende per coronare l’american dream di cui è portavoce. La coppia si parla per la prima volta durante uno dei ricevimenti degli Eastman, all’interno della sala da biliardo in cui entrambi si sono rifugiati dalla folla. Sebbene George eviti ogni riferimento alle umili origini, sono gli eventi e le interazioni a far emergere quel passato ingombrante e che il protagonista sente come ostacolo alla nuova vita e identità. Un contrasto visivo molto forte, tra l’ambiente a cui George aspira e quello di provenienza, ci viene mostrato durante la telefonata alla madre (su sollecitazione dello zio, dopo la promozione). La donna è rimasta da sola nella città natale a gestire la missione metodista di famiglia.

Il percorso di George verso l’alta società subisce un arresto: alla notizia della gravidanza di Alice, il protagonista si vede proiettato verso il punto di partenza, in un ritorno alla povertà. Alice, dopo essersi rivolta inutilmente a un medico per abortire, è costretta a imporre a George un matrimonio riparatore. Il protagonista, alle strette, costruisce una serie di menzogne per gestire la sua “doppia vita”, percependo nel vincolo imposto dalla donna una minaccia al futuro radioso. George tenta di portare il tempo dalla sua parte, per non veder sfumare gli sforzi impiegati nel conquistarsi le grazie della propria famiglia e di quella di Angela. Il riconoscimento sociale di George coincide con il passaggio di status, da outsider a invitato alle cene e in villeggiatura. Ma il tempo scorre e Alice, consapevole della relazione di George con Angela, minaccia l’uomo di rivelare l’intera faccenda ai giornali. George, prendendo spunto dalla cronaca nera sentita alla radio (e dal racconto di Angela, di un omicidio avvenuto l’anno precedente al lago) decide di liberarsi di Alice, una volta per tutte. Ricordandosi che la donna non sa nuotare, il protagonista improvvisa una gita in barca con lei, affittando il mezzo sotto falso nome. Il giro del lago continua dopo il tramonto: la scena in cui George è in preda a un’ansia febbrile, sospeso tra la volontà (omicida) e l’agire ricorda quella del protagonista di Aurora di F. W. Murnau (1927). La vittima, però, cade accidentalmente dopo un diverbio, causando il rovesciamento della barca e George non fa nulla per salvarla.

Segue un processo giudiziario in cui le prove testimoniali aggravano la posizione di George, il quale è giudicato colpevole e condannato a morte. Prima del punto di non ritorno, l’uomo riceve, nella cella, la visita delle due figure materne: la madre, che si sente responsabile del gesto del figlio e Angela, straziata ma forte dei sentimenti che prova ancora per l’amato. La pellicola è disseminata di tracce-immagini che ricostruiscono la storia di George, dal sogno dell’ascesa sociale, al crollo: come la locandina dell’incipit, la copia del dipinto preraffaellita di Ofelia di Millais nello studio, il tempo morto sulla soglia dell’aula del tribunale deserta. Una tragedia americana, come il titolo del romanzo da cui il film è tratto, che coinvolge tutti e tre i protagonisti. Le vicende di George, Alice e Angela si giustappongono, il loro intreccio è reso a livello visivo attraverso l’utilizzo delle dissolvenze incrociate. Ogni personaggio subisce le conseguenze delle menzogne e delle azioni di George, vedendosi spezzare i propri progetti. Il desiderio di George, di essere un membro dell’alta società a fianco di Angela è irrealizzabile quanto quello delle due donne. Alice è disposta a continuare a condurre una vita di sacrifici mentre Angela (ignara fino all’ultimo della verità), vorrebbe far durare all’infinito il vortice del presente. Il movimento centripeto della spirale disegnata dai corpi di Angela e George, stretti in un abbraccio durante la scena del ballo, è il ricordo a cui il protagonista si aggrappa, provando a far sì che quel momento di felicità non si opacizzi e cancelli del tutto. L’immagine iconica, del primo piano degli amanti, sospesi nell’attimo che precede il bacio, è entrata nella storia del cinema. Ricordiamo che l’inquadratura, realizzata con una lente di 6 pollici, è citata nel tatuaggio sulla nuca rasata del protagonista di Zeroville (James Franco, 2019).

Un posto al sole contiene in sé più sfaccettature di generi che si contaminano tra loro: dal melodramma al noir psicologico, passando per uno spaccato sociale degli Stati Uniti del secondo dopoguerra, la condizione femminile e quella lavorativa, infine il film giudiziario. Come la pellicola è difficile da etichettare, allo stesso modo è per il regista George Stevens, la cui carriera eclettica, iniziata dalle commedie di Stanlio e Ollio degli anni ‘30 (come cameraman) è poi passata alla regia di commedie (leggere, sofisticate e anche musicali), di melodrammi degli anni ’40 e infine anche di un western, un film su Anna Frank e un biblico. Una parte della filmografia di Stevens è stata oggetto della bellissima retrospettiva presentata all’ultima edizione del Cinema Ritrovato di Bologna. La poetica del regista porta i segni di un prima e un dopo l’esperienza della Seconda Guerra mondiale. Lo stile iniziale, caratterizzato da dialoghi brillanti, cast d’eccezione e gag che strizzano l’occhio alle commedie slapstick, si incupisce una volta di ritorno dal fronte e, come in Un posto al sole, vira verso toni introspettivi. Stevens ha partecipato come tenente colonnello della United States Army al conflitto mondiale, guidando (dal ’43 al ’46) un’unità incaricata dal generale Eisenhower di realizzare delle riprese. I filmati dello sbarco in Normandia in Kodachrome, della liberazione del campo di concentramento di Dachau e della liberazione di Parigi, realizzate dalla troupe di Stevens, sono dei documenti dall’alto valore storico e di testimonianza degli eventi, tant’è che sono stati impiegati durante i processi di Norimberga. Grazie a questo prezioso contributo, il regista è stato insignito della legione al merito. Molti filmati “di campo” in 16mm, rimasti in soffitta della sua abitazione per decenni, sono stati utilizzati dal figlio del regista, George Stevens Jr., che nel 1984 ha realizzato un ritratto del padre, George Stevens; a filmmaker’s journey.

<< se George Stevens non avesse utilizzato la prima pellicola 16mm a colori a Dachau, la felicità di Elizabeth Taylor non avrebbe forse mai trovato un posto al sole >>. Jean-Luc Godard.

Mariangela Martelli