Citizen Nobel: l’uso responsabile della conoscenza

Citizen Nobel: l’uso responsabile della conoscenza

November 16, 2021 0 By Simone Tarditi

Jacques Dubochet è ufficialmente in pensione già da una decina d’anni quando un giorno del 2017, dal nulla, gli arriva la telefonata che annuncia la sua vittoria del Nobel per la chimica. “È un evento destabilizzante”, dice lui, ma lo accoglie e lo abbraccia con un’energia tale da non sembrare quella di un settantacinquenne. Dedito di suo ad attività fisiche quali il taglio della legna o il compiere lunghi tragitti in bicicletta, Jacques cavalca quell’improvvisa e inaspettata fama per condividerla col prossimo. Con tanto di scrittura di un libro. Le università di mezzo mondo lo chiamano per una lectio magistralis, le reti televisive lo invitano nei loro programmi, i paparazzi lo braccano nel tranquillo angolo di Svizzera dove vive assieme alla moglie. Insomma, dopo l’ottenimento del premio non si autocolloca su un piedistallo in attesa di essere venerato, ma si mette in qualsiasi modo a disposizione della rete di persone che vogliono una fetta di lui. La sua etica è di voler raggiungere un progresso affinché si garantisca benessere e salute per la collettività, non per arricchire qualcuno coi benefici derivanti da una invenzione. In quest’ottica mette se stesso come cavia/paziente che si rende disponibile a fornire la sua esperienza per un bene più alto.

Citizen Nobel ha due anime principali: una relativa al fenomeno della celebrità, una riguardante la riflessione sul presente dominato dai cambiamenti climatici. Una quindi su una costruzione tipicamente umana, un artificio inseguito e desiderato da molti (il successo), l’altra sui danni al pianeta prodotti da quegli stessi individui. Le due facce del millennio in corso, o se non altro dell’ultimo abbondante decennio. Jacques è consapevole che le sue competenze sono rimaste le stesse di prima che vincesse il Nobel e lotta, almeno nei mesi iniziali, con il venir invitato ovunque e il non avere nulla da dire. In realtà di argomenti di cui parlare è pieno. La sua personalità supera la sfera della sua professione perché il suo chiodo fisso della scienza non deriva da una passione, ma da un’ossessione: il bisogno fisiologico e psicologico di scoprire, trovare le risposte. L’idea che anche la più completa delle formazioni accademiche lasci delle zone d’ombra, dei vuoti incolmabili, dei misteri impossibili da risolvere lo spinge a fare esattamente il contrario di rassegnarsi: si mobilita, va alla ricerca di chiavi, affronta i quesiti da altre angolazioni per cavarne fuori un insegnamento. Sempre.

Ecco che quindi Citizen Nobel si muove su questo duplice binario: tramite Jacques indaga il senso che può avere farsi un selfie con qualcuno solo perché è famoso (risposta: alcuno) esattamente come al contempo si addentra nelle dinamiche con cui il movimento Fridays4Future esplode in tutto il mondo. Il protagonista, la cui posizione antinucleare è stata un punto fermo quando era giovane, ha la possibilità di osservare da vicino la trasformazione, in termini di presa di coscienza collettiva, avviata da Greta Thunberg. E ne rimane affascinato, oltre che felice. Citizen Nobel ha intenti di propaganda green? Può darsi. Probabilmente sì, ma non pretende di fare proselitismo tra gli spettatori né di imporre verità assolute. Per quelle ci pensa già la scienza, ossia l’universo in cui persone come Jacques Dubochet hanno riposto il loro credo.

Nell’economia generale del documentario merita notare un aspetto ulteriore, quello legato alla gestione della moglie di Jacques. Il rapporto tra i due ha le parvenze dell’idillio romantico: si completano, aiutano e supportano a vicenda da oltre mezzo secolo. Sicuramente più timida e riservata di lui, la donna ha le sue battaglie, le sue attività quotidiane che la occupano e la rappresentano. Bello è quando, in ogni momento siano assieme, Jacques fa cadere su di lei, di riflesso, un po’ della luce che il mondo esageratamente sta emanando sulla sua figura. Per non farla sentire trascurata, forse, ma soprattutto per via di quello spirito di condivisione che li unisce.

Simone Tarditi