Gastone: l’asse Bonnard-Petrolini-Sordi

Gastone: l’asse Bonnard-Petrolini-Sordi

November 22, 2021 0 By Simone Tarditi

“Bastone, un cilindro, guanti bianchi, un frac”, i primi fotogrammi mostrati e le prime parole pronunciate contengono già il ritratto del protagonista che dà il titolo al film. Gastone, persona di spettacolo che nella Roma degli Anni Venti si trascina da un locale all’altro per intrattenere un pubblico avvinazzato e senza gusto, è un meschino tra meschini, uscito in origine dalla penna affilata di Ettore Petrolini (1884-1936) e portato sul grande schermo dall’amico Mario Bonnard. Gastone è per certi versi fuori tempo massimo per il 1960. Nell’anno in cui escono La dolce vita, Rocco e i suoi fratelli, L’avventura, La maschera del demonio, Il bell’Antonio e compagnia bella, ossia in un periodo dove in Italia si assiste a nuove modalità con cui affrontare la regia e la narrazione cinematografica, il regista infonde nel suo omaggio a Petrolini niente più che l’affetto e il ricordo. Il film, tutt’altro che mediocre e anzi con ritmo brioso (lo stesso che vent’anni prima ne avrebbe decretato il successo), risulta comunque vecchio, aggettivo quanto mai disprezzabile, ma, qui, necessario. Complessivamente, un atto di riconoscenza non di perfetta riuscita. Malinconico il giusto, con qualche buon momento, ma in generale sullo sconclusionato andante. “Per accontentare tutti voi, faccio quello che pare a me”, applicando una massima di Petrolini all’operato di Bonnard in questo film.

Di base quella di Gastone è la storia di un uomo, illuso, innamorato della propria immagine a tal punto da comportarsi da presuntuoso persino nei suoi medesimi confronti, ossia nei riguardi di sé quando non usa una maschera. Difficile, tuttavia, distinguere l’essere umano dal personaggio e in questo gioco finisce pure Sordi che in più di un momento sembra interpretare il classico spavaldo personaggio alla Sordi, più che calzare i “panni” di Ettore Petrolini, il cui nome viene pronunciato un’unica volta dopo più di un’ora. Quel che invece risulta inusuale è l’aver scelto un simile ruolo e un film del genere proprio nel periodo in cui è all’apice della fama (l’anno prima è uscito La grande guerra di Monicelli e, giusto per citarne due, nel 1960 è il protagonista di Tutti a casa di Comencini e Il vigile di Zampa). Petrolini è un tale mostro sacro che l’attore non deve aver resistito al richiamo di calcarne le orme.

Dalla pellicola di Bonnard emerge comunque – e riesce quindi nell’intento iniziale della commedia petroliniana – una visione poco celebrativa nei confronti del mondo dello spettacolo (“Io mi diverto in questo letamaio, uno spasso” dice Vittorio de Sica a un certo punto), fatta di impresari tenuti per le palle dagli usurai e di ex zarine finite a fare le ballerine di quart’ordine, per non parlare di Gastone: alla sera un elegantone spargi-fascino e tombeur de femmes dagli occhi bistrati, alla sera un eunuco con rete nei capelli e calzamaglia, di giorno un pezzente accattone senza nemmanco gli spicci per la colazione.

Simone Tarditi