La sovversione e protesta di Matrix Resurrections

La sovversione e protesta di Matrix Resurrections

January 3, 2022 0 By Gabriele Barducci

Matrix Resurrections è Matrix? No. O almeno lo diventa nel momento in cui Lana Wachowksi decide marcatamente di ricordarci – giacché lo hanno scordato in molti – cosa è Matrix, cosa è stato nel passato, sia come diretta influenza nell’evoluzione comunicativa e tecnologica del cinema, sia nell’approccio sociologico, analitico e filosofico con cui ci si è resi conto che si poteva fare fantascienza e infarcire la sceneggiatura di molteplici significati ben strutturati e non solo con meri e futili pretesti nel mostrare il “nuovo mondo” delle, all’epoca ancora fratelli, sorelle Wachowski.

Il grande punto di partenza, imprescindibile per poter analizzare concretamente il contenuto e non fermarsi superficialmente è l’ovvia verità, ovvero che a distanza di quasi venti anni, fare un altro film di Matrix era praticamente impossibile, per una doppia motivazione: la chiara conclusione narrativa con il destino di ogni personaggio segnato e l’esaurirsi di ogni messaggio e metafora proposta.

Dunque la realizzazione di questo quarto capitolo nasce dalla mente di Warner Bros, vogliosa di sfruttare ancora il nome, con piena testardaggine di partorire un nuovo film anche senza l’approvazione o la supervisione delle sorelle. Lana Wachowski però si infastidisce, entra da sola nel progetto e pretende carta bianca, soldi, la promessa di un quarto capitolo, ma realizzato a modo suo.

Altra grande premessa da fare è la fine della Presidenza Trump negli Stati Uniti; un’amministrazione lapalissianamente distruttiva sul fronte delle diversità, annientate dal potere, dalla xenofobia aperta e senza filtri e dall’ignoranza, come l’uso stesso dei maggiori social e mezzi di comunicazione, con piena propaganda di fake news e utilizzo di metafore per sorreggere tesi strampalate. Su queste, Trump ha più volte utilizzato anche il mondo di Matrix, di cosa sia davvero reale e cosa no e mettere in dubbio le basi più semplici o assodate su cui costruire il nostro quotidiano.

Queste due grandi parentesi sono necessarie dunque per inquadrare il prodotto Matrix Resurrections che al netto della qualità finale, palesemente mediocre e priva di qualunque guizzo rivoluzionario come fece il primo capitolo, diviene un racconto che incarna una ribellione palese sia contro il sistema Hollywoodiano odierno che reindirizzare il discorso Matrix nei giusti binari.

Matrix Resurrections è a tutti gli effetti un’opera cristallina che sfrutta – nuovamente – Matrix per mettere in scena un triste teatrino cinematografico dove major produttrici di blockbuster stanno ormai regalando al mondo la falsa promessa di spettacoli pirotecnici, appassionanti ed epici.

In un contesto odierno dove film come Dune hanno avuto un’accoglienza tiepida, prodotti quali cinecomics ricevono l’applauso mondiale di ogni fronte. Non che questo sia sbagliato verso taluni prodotti, ma Lana Wachowski riutilizza un vecchio codice di Matrix per far tornare in vita Neo e Trinity, il primo come produttore di videogiochi che vorrebbe fare un nuovo titolo, mentre il suo publisher (Warner Bros!) gli impone un sequel, perché questi vendono, sono grandi pillole blu diluite videoludicamente con il pubblico che ne assumerà a quantità industriale, così da stare tutti buoni, reiterare il nostro ruolo all’interno di un teatrino e non destare sospetti.

Trinity invece è messa molto peggio, influenzata dall’opinione xenofoba che vede le donne come simpatiche Tiffany con i codini, madri di famiglia a prendere il caffè al mattino al bar, covando in gran segreto, clandestinamente, il sogno delle grandi moto e vestiti neri.

La rivoluzione appare limpida nel credere e non credere, nel modo in cui noi spettatori abbiamo reso Neo l’eletto perché i suoi compagni hanno creduto in lui e nello stesso modo la potenza della mente deve liberarsi della gabbia del corpo (e qui si apre l’ennesima parentesi sulla natura e diretta evoluzione identitaria dei fratelli, poi sorelle) e riappropriarsi di cosa gli è stato negato.
A una lettura superficiale Matrix Resurrections è un film deficitario in più punti, proprio perché reitera volutamente le classiche regole del cinema di intrattenimento per le masse, criticato nel film come una grande pillola blu, quella che addormenta e fa rimanere docili.

La pillola rossa era stata elargita nel 1999 con il primo The Matrix. Oggi siamo ancora in una fase di pieno sonno, le pillole rosse sono sempre poche e in una visione Carpenteriana come Essi Vivono, il mondo attorno a noi è una vecchia versione di Matrix fallace, piena di bug e costruita su tantissime pillole blu.

Matrix Resurrections è Lana Wachowski che infarcisce un suo universo narrativo di contenuti metatestuali, palesi e richiamati più volte. Una sorta di supercazzola prematurata in modo del tutto inaspettata e qui sorge il dubbio che divide il pubblico: come Matrix è un film sterile, tanto da sovvertire gli stessi stilemi di Matrix per creare qualcosa di nuovo, tendente al vecchio e lontano dalla novità, ma la rivoluzione è tutta nella scrittura e nello stesso modo in cui un film di questo calibro, di circa 150 minuti, arrivi di colpo a criticare tutto il sistema cinematografico (dunque anche lo stesso franchise di Matrix letto e riletto sempre nel verso sbagliato) e tutte le produzione blockbuster.

Da qui, un punto fermo. Il resto ce lo dirà il futuro.

Gabriele Barducci
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