Gli USA vs il Centro Sperimentale: una breve storia

Gli USA vs il Centro Sperimentale: una breve storia

March 8, 2022 0 By Simone Tarditi

Il 28 marzo 1939, sulle pagine del quotidiano «Philadelphia Inquirer», la reporter Mildred Martin prende le difese del cinema della sua nazione dopo un presunto attacco sferrato oltreoceano, più precisamente da Roma, dove hanno sede sia Cinecittà sia il Centro Sperimentale. Se allo scoppio della guerra non manca molto e l’animosità del regime italiano nei confronti di Hollywood sta lentamente crescendo fino ad esplodere soltanto un paio d’anni più tardi, vero è che la simpatia nei riguardi dell’Italia sta altresì scemando in America.

A tal proposito, l’articolo in questione (“U.S. Stars Rapped by Italians”) parla chiaro. Paul Tamburello [sic], ex allievo della Columbia University e ora portavoce dello studentato del Centro Sperimentale, si espone in questi termini nell’intervista pubblicata: “Ci viene insegnato a non infondere le nostre personalità nei ruoli [che ci affidano, NdT], bensì a recitare la parte nella vera caratterizzazione con cui è scritta. Quando sullo schermo vedete la Garbo, Robert Taylor, Norma Shearer o Joan Crawford, noi abbiamo la sensazione che stiate assistendo a un eccellente spettacolo, ma non a un’autentica genialità. Voi venite intrattenuti più dai loro look e personalità che dall’interpretazione dei personaggi”. Parole dure, spedite a mezzo posta alla redazione del «Philadelphia Inquirer» dopo essere state scolpite come un credo dal fascio littorio. L’articolo però non si premura di citare almeno un attore e un’attrice di cittadinanza italiana per fare un paragone. La Martin commenta così “Queste sono parole altisonanti, persino idealistiche, ma crediamo che Tamburella, una volta di New York e ora di Roma, stia trascurando che la personalità è importante quasi quanto l’abilità nel ‘vendere’ una star al pubblico”. La giornalista passa poi a difendere divi e dive di Hollywood, com’è giusto che sia.

Interessante la virata che prende l’articolo diventando un’indagine su quel che sta accadendo nella capitale italiana: “Inaugurata tre anni fa, la scuola viene frequentata da studenti provenienti da ogni parte dell’Europa, Africa e dell’America centrale e del Sud. In Italia, ogni ragazzo e ragazza con l’aspirazione del cinema ha l’obiettivo del Centro Sperimentale. Gli studenti italiani, avvantaggiati rispetto ai loro stranieri compagni di studi, vengono pagati un dollaro al giorno. Le altre nazionalità devono pagare cinque dollari per un corso lungo tre anni, durante il quale viene approfondita ogni fase dell’industria cinematografica dalla dizione, make-up e danza agli aspetti tecnico-produttivi. Delle seimila domande ricevute annualmente da Alessandro Blasetti, il quale è a capo della scuola, solo cento pupilli vengono accettati. Dopo i primi tre mesi, cinquanta di loro sono selezionati per proseguire il triennio”. E facciamo finta che fino a qui tutti i calcoli tornino. Si passa quindi al citare verbatim proprio Blasetti: “E di questi, solo quattro o cinque si rivelano di calibro veramente cinematografico. Il resto solitamente passa ad altro rispetto alla recitazione: per esempio cineoperatori, montatori, produttori, fonici, sceneggiatori o registi”. Questa dichiarazione è in linea con un pensiero generalmente riconosciuto come valido, ossia che il cinema si compone di tante mansioni diverse e che ognuna ha la sua rilevanza. C’è chi sta sotto i riflettori e chi più appartato, ma la macchina complessa funziona quando ognuno fornisce il proprio contributo. Piccata, Mildred Martin interpreta con pregiudizio quel che dice Blasetti. Nello specifico ecco quel che scrive nell’articolo, sempre parandosi dietro al plurale maiestatis: “Troviamo disturbante che Blasetti retroceda registi, sceneggiatori e produttori a mansioni considerevolmente meno importanti rispetto alla recitazione. Di sicuro noi e Hollywood abbiamo imparato che performance brillanti raramente fioriscono da un film che è stato scritto senza cura o girato grossolanamente. Autori e registi hanno più responsabilità delle star nel creare grandi film e qualsiasi scuola di cinema che fornisca una lezione diversa fa solo perdere tempo ai propri studenti”. Un’insinuazione senza capo né coda quella proveniente dal «Philadelphia Inquirer», figlia di una volontà tesa a ferire o della consapevolezza acclarata che il sistema produttivo italiano degli anni Trenta ha saputo incanalare dentro di sé la lezione americana sul come si fa il cinema: turni, divisione dei compiti, orari, mestieri prestabiliti, professionismo. La Cinecittà del 1939 non avrà Gable o la Hepburn, ma la qualità tecnica dei film realizzati ha ben poco da invidiare a Hollywood. Oggi si ha la consapevolezza di ciò, e ai tempi? Mildred Martin chiosa il suo pezzo promuovendo un film in uscita (Sergeant Madden di Josef von Sternberg), fornendoci uno spunto su quale sia il fine ultimo del trafiletto: fare pubblicità a una pellicola. Un fine quindi economico, traducibile col generare soldi. Dopo aver sproloquiato ancora contro il sistema italiano, su una cosa la Martin ha però ragione: “Se il governo italiano vuole impersonare la fata madrina per i multietnici giovani con la fissa per il cinema, per noi va bene. E preferiremmo vedere qualsiasi cifra in Lire spesa per gli elaborati quartier generali dove si trasferirà il Centro Sperimentale nei prossimi mesi piuttosto che per fucili e munizioni”. Questo il monito, accompagnato da una previsione troppo brutta per essere messa per scritto: la seconda guerra mondiale alle porte. Peccato che le cose siano andate diversamente da come sperate nell’articolo.

Torniamo al fautore inconsapevole dell’esame politico-culturale portato avanti da Mildred Martin. Se la ricostruzione ci assiste e il Paul Tamburella dell’articolo è il Paolo William Tamburella, allora residente e impiegato a Roma, negli anni a seguire lo vediamo operare sempre nel cinema, sebbene siano poche le sue partecipazioni: in veste di produttore figura nei credits di Sciuscià, mentre in Vogliamoci bene!, Sambo, I sette nani alla riscossa svolge il doppio ruolo di sceneggiatore e regista. Poi più nulla, perché nel 1951 muore improvvisamente superati di poco i quarant’anni d’età. In quello stesso periodo iniziano a New York le attività dell’Actors Studio, scuola che compirà una mezza rivoluzione copernicana per la recitazione statunitense. Forse Tamburella non aveva così torto.

Simone Tarditi